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Operazione Sophia. La flagship italiana, le richieste gialloverdi e la Ue

Sophia compie tre anni. Era il 24 agosto 2015 quando una bambina nacque a bordo della nave militare tedesca che porta il nome della principessa Sophia di Prussia, una nave impegnata nella missione europea Eunavfor Med che dall’ottobre successivo ampliò la propria denominazione aggiungendo “Operazione Sophia”. Due giorni prima del parto la madre era stata salvata al largo della Libia. Tre anni dopo, la missione europea è al centro delle discussioni politiche europee per la richiesta di modifica del piano operativo presentata dall’Italia: il governo Conte chiede che, così com’è avvenuto con il passaggio dalla missione Triton alla missione Themis dell’Agenzia Frontex, l’Italia non sia più l’unico Paese di sbarco per le navi impegnate in quella missione.

L’Italia avrebbe preferito che le modifiche fossero operative già dalla fine di questo mese di agosto nonostante il mandato dell’Operazione Sophia scada a dicembre. La strada, però, è ancora lunga e le riunioni del Comitato politico e di sicurezza (Cops) stanno andando avanti con prudenza perché gli altri Stati membri, secondo quanto filtra da Bruxelles, non hanno intenzione di assumere decisioni definitive prima della fine dell’anno. Un conto è discutere, un altro cambiare perché occorre l’unanimità, anche se probabilmente se ne parlerà a Vienna a fine mese alla riunione dei ministri della Difesa e degli Esteri.

La missione europea è comandata dall’ammiraglio di divisione Enrico Credendino il quale, a margine di un convegno nello scorso giugno, disse che a settembre sarebbe stata presentata la revisione strategica con la proposta ai Paesi membri dell’Unione di continuare “anche con un ruolo più attivo contro il traffico di petrolio che è la prima fonte di reddito dei trafficanti”. “Il traffico di armi, quello di petrolio e quello degli esseri umani sono legati. Il traffico illecito di petrolio – aggiunse l’ammiraglio – parte dalla zona nord-ovest di Tripoli e si diffonde in tutto il Mediterraneo. Ecco perché occorre rinforzare l’intelligence, e Sophia ha da poco una cellula informativa, ma per ora non ci è permesso di ispezionare i mercantili”.

Eunavfor Med nacque nel maggio 2015 con lo scopo di intercettare e distruggere il maggior numero di mezzi utilizzati dai trafficanti di esseri umani, anche se interviene a salvaguardia della vita in caso di necessità, e nel giugno 2016 il mandato fu esteso all’addestramento della Guardia costiera e della Marina libica e al rispetto dell’embargo di armi in base alle risoluzioni Onu. Nel luglio 2017, infine, con la proroga al 31 dicembre prossimo, il Consiglio europeo aggiunse la raccolta di informazioni sul traffico di petrolio dalla Libia e un più efficace scambio sul traffico di esseri umani con gli Stati membri, con Frontex e con Europol. Dato che lo scopo principale della missione è il contrasto ai traffici illeciti, in tre anni Eunavfor Med ha soccorso circa 45mila migranti, meno del 10 per cento del totale. Riguardo all’addestramento della Guardia costiera libica, a giugno Credendino disse che erano state addestrate 213 persone con l’obiettivo di 500 entro fine anno: “Questo addestramento è una delle chiavi fondamentali perché i libici acquisiscono la capacità di combattere le reti dei trafficanti e di soccorrere. Dal luglio 2017 la Guardia costiera libica ha soccorso 20mila persone e i morti in mare sono più che dimezzati perché la gran parte dei naufragi si verificava all’interno delle acque territoriali libiche”.

Come tutti sanno da tre anni, una vera svolta nel contrasto ai flussi migratori dalla Libia ci sarebbe passando alla fase successiva di Eunavfor Med, quella che consentirebbe di entrare nelle acque territoriali libiche e sullo stesso territorio per combattere davvero i trafficanti distruggendo imbarcazioni e strutture varie. Il problema non è tanto la necessità di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che sarebbe scontata se il governo di Tripoli (l’unico riconosciuto dalle Nazioni Unite) autorizzasse l’ingresso: non lo fa perché cederebbe sovranità e dimostrerebbe tutta la sua debolezza, con imprevedibili ripercussioni interne.

Dunque, mentre dal 1° agosto Nave San Marco ha preso il posto di Nave San Giusto come flagship dell’Operazione Sophia, la richiesta italiana di modificare il piano operativo rappresenterà un ulteriore elemento di frizione nelle discussioni sul tema dell’immigrazione.

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