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Il ritorno dello Stato padrone? Bene ma Cdp non è l’Iri. Parla Cirino Pomicino

C’era una volta lo Stato padrone, che tutto controllava e tutto possedeva. Qualcosa funzionava, qualcos’altro no, ma forse, a sentire Paolo Cirino Pomicino, ministro democristiano (al Bilancio con Andreotti, alla Funzione Pubblica con De Mita) era meglio così.

Se non altro per quella “cultura industriale” che caratterizzava i governi di allora e il loro braccio operativo, l’Iri. Ora che con l’avvento del governo gialloverde la parola nazionalizzazione sembra tornata improvvisamente di moda, ci si chiede se abbia senso a 25 anni dall’avvio delle privatizzazioni (era la metà degli anni 90), parlare di ritorno al pubblico. Alitalia, Autostrade, acciaio, le concessioni: tutto è nel menù dell’esecutivo legastellato, pronto a un colpo di mano per rimettere sotto il cappello statale interi pezzi di industria italiana.

Pomicino, ha senso parlare di ritorno dello Stato nell’economia oggi?

Può avere senso a patto che si persegua il corretto funzionamento dei servizi e che abbia alla base una vera cultura industriale. Personalmente provengo da un’esperienza che prevedeva la presenza del pubblico nell’economia reale, insieme al privato, un sistema misto il cui perno era l’Iri. Per esempio il credito, ma non solo. Però a differenza di oggi ci confrontava secondo delle regole ben precise. Il pubblico faceva il pubblico, il privato il privato. Oggi si è perso quell’equilibrio, per questo bisogna valutare bene cosa e dove andare a nazionalizzare.

C’è chi vede nelle nazionalizzazioni un passo indietro rispetto ad anni di conquiste nel libero mercato…

La verità è che c’è sempre stato un pubblico buono o cattivo, così come un privato efficiente o non efficiente. Faccio un esempio. Per costruire la Salerno-Reggio Calabria lo Stato ci ha messo trent’anni, mentre per fare la Milano-Napoli, ben più lunga, lo stesso Stato ce ne ha messi otto. In linea di massima però penso che uno Paese che non ha per le mani i nodi strategici del mercato è  privo di forza. Qualche pezzo strategico di industria deve per forza essere sotto il controllo statale.

Per esempio?

Le telecomunicazioni. Un errore privatizzare l’allora Telecom (1997, ndr). Tutte le più grandi economie hanno il controllo del loro sistema di tlc, a cominciare dalla Francia. Io Telecom non l’avrei mai venduta.

Però il governo italiano è azionista di Tim (tramite Cdp, ndr) che è la maggiore società telefonica italiana. Inoltre si prepara ad avere un ruolo di primo piano nella futura società della rete, attraverso la controllata Open Fiber…

Meno male. Come ho già detto serve una presenza pubblica in certi settori, a cominciare dalle telecomunicazioni. Anche se la Cassa Depositi e Prestiti non è forse il veicolo più adatto per parlare di nazionalizzazione.

Si spieghi.

La Cdp è un socio finanziario se vogliamo parlare di Stato nell’economia bisogna ricorrere a un socio industriale, come era l’Iri. Oggi se davvero si vuole riportare il pubblico in alcuni segmenti occorrebbe una nuova Iri. Se penso all’esperienza dei miei anni penso a uomini capaci di guidare il pubblico nell’economia, come vera forza in grado di potenziare il privato. E così dovrebbe essere.

Lei prima ha parlato di autostrade. Il governo ha prospettato una nazionalizzazione della rete, oggi gestita da Atlantia, i cui azionisti di maggioranza relativa sono i Benetton. Che idea si è fatto?

Discorse delicato, va fatta una premessa. Autostrade non l’avrei privatizzata 19 anni or sono (1999, ndr). Però adesso le cose sono cambiate. Atlantia e il gruppo Gavio (l’altro grande concessionario viario italiano, ndr) sono cresciuti, arrivando a competere a livello internazionale. Un ingresso dello Stato oggi creerebbe un precedente per questo sviluppo, che è meglio evitare. Non affiderei per intenderci la rete e i suoi investimenti ad Anas. Se ci fosse un socio industriale come fu l’Iri, capace di creare equilibrio tra mano pubblica e privata, allora forse la musica sarebbe diversa. Ma non è il caso odierno.

E far costruire il nuovo Ponte Morandi crollato a Genova a Fincantieri, come dice il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, utilizzando però le risorse private di Atlantia?

Ho dei dubbi. Mi chiedo che professionalità possa avere Fincantieri in questo contesto…

Tlc, autostrade e ora trasporto aereo. Prendiamo il caso Alitalia…

Su Alitalia ho sentito di un possibile coinvolgimento della Cdp. Va bene, anche se un Iri forse avrebbe calzato a pennello. La Cassa potrebbe entrare ma a una condizione: fare delle alleanze strategiche. L’errore che fu fatto nel 2008, quando si volle salvare l’italianità della compagnia, fu quello di non aver pensato ad alleanze strategiche con altre grandi compagnie. Qualcosa che oggi non si dovrebbe ripetere.

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