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L’inizio del post-Jcpoa. Ecco come l’Iran vede le sanzioni americane

teheran, sanzioni

Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo sul nucleare iraniano, il Jcpoa, che nel suo discorso dell’8 maggio Trump ha definito una causa di “grande imbarazzo per me come cittadino e per tutti i cittadini degli Stati Uniti”. Due settimane dopo, il Segretario di Stato Mike Pompeo parla alla Heritage Foundation, ripetendo le posizioni dell’amministrazione sull’Iran: un regime che sostiene il terrorismo e le cui politiche destabilizzartici si sono intensificate in conseguenza all’accordo del 2015 che “ha messo in pericolo il mondo per le sue gravi imperfezioni”.

Il Jcpoa ha dato ampio respiro all’economia iraniana; il regime degli Ayatollah ha preferito investire in guerriglia, terrorismo e azioni militari in Siria, Iraq, Yemen e Afghanistan, destabilizzando la regione e minacciando gli alleati Usa. Queste le ragioni del ritiro dall’accordo, con la prima ondata di nuove sanzioni imposte all’Iran in vigore da oggi e che toccheranno l’industria e il commercio di automobili e metalli vari così come oro e argento.

Da novembre altre sanzioni colpiranno il settore energetico e bancario, benché gli Stati Uniti abbiano già chiesto agli alleati di interrompere l’importazione di petrolio dall’Iran. Alcune industrie europee in particolare del settore automobilistico si sono già ritirate dall’Iran, mentre la Cina ha già annunciato che non sottostarà ai dettami statunitensi. La Russia ha ricevuto il ministro dell’Energia Bijan Zanganeh e il Consigliere del Leader Supremo per la politica estera Ali Akbar Velayati per discutere di maggiori cooperazioni nel campo del gas e del petrolio.

Il quotidiano iraniano Jaam-e Jam, allineato con i conservatori, parla di “guerra psicologica” e accusa Mike Pompeo di incitare il popolo iraniano. Il 22 luglio, alla Ronald Reagan Presidential Library, Pompeo pronuncia un discorso intitolato “sostenere le voci degli iraniani” rivolgendosi direttamente al popolo iraniano e attaccando il regime teocratico. “Oggi un miliziano di Hezbollah guadagna due o tre volte di più di un pompiere iraniano” grazie ai generosi fondi elargiti dall’Iran all’organizzazione terroristica. In un discorso pieno di ironia, Pompeo attacca generali, alti ufficiali e leader della Repubblica Islamica, chiamandoli coi nomignoli con cui sono conosciuti nella comunità dell’intelligence. “L’America e altri Stati hanno tentato in tutti i modi di trovare un politico moderato, ma è come cercare un unicorno iraniano”. Dopo critiche e accuse al regime, Pompeo passa a parlare del popolo, dei manifestanti uccisi nelle proteste represse, di cristiani, ebrei, baha’ì e zoroastriani che soffrono per discriminazione e repressione religiosa, e rivolgendosi agli iraniani dice “Gli Stati Uniti vi capiscono, gli Stati Uniti sono con voi”.

La politica di Pompeo è un misto di forti pressioni e aperture. Solo la settimana scorsa alla conferenza stampa con il presidente del Consiglio Conte, Trump ha proposto al presidente iraniano Rouhani un incontro, cui il Ministro degli Esteri iraniano Zarif ha risposto imponendo generali precondizioni, mentre altri leader hanno escluso la possibilità di dialogo. La stessa strategia ha portato a un incontro storico con il leader della Corea del Nord, ma gli iraniani hanno reagito diversamente. Come vede l’Iran l’era post-Jcpoa?

In un’intervista all’agenzia di stampa Tasnim, Majid Takht-Revanchi, diplomatico iraniano formatosi negli Stati Uniti e in Svizzera e consigliere del presidente Rouhani, parla della situazione contemporanea, attaccando il Presidente Trump come un businessman che vuole far politica senza sapere le regole della politica. “L’Iran non risponde a questi metodi” riferendosi alle strategie di attacco e apertura degli Stati Uniti, che crederebbe, secondo Takht-Revanchi, di avere a che fare ancora con l’Iran dello Shah, cui imporre dettami, ma “abbiamo acquisito familiarità con questo atteggiamento ostile”. L’ufficiale iraniano punta il dito alle controversie e differenze tra USA e alleati europei, suggerendo un’intrinseca debolezza americana.

Nella stessa intervista si rivelano le speranze dell’Iran: negli Stati Uniti, un Congresso dominato dai Democratici, che cambierà la politica estera, giacché “Trump e il suo entourage” sarebbero impegnati in una campagna di ostilità anti-iraniana in cui starebbero trascinando anche i pesi del Golfo (secondo Takht-Revanchi); l’appoggio sempre più forte di Russia, Cina e India, con cui i rapporti politici ed economici starebbero intensificandosi (a dire dell’ufficiale iraniano) e sul cui appoggio all’Onu l’Iran potrà contare; e, infine, un’apertura verso l’Arabia Saudita che per ora vive nell’illusione di imporsi sull’Iran grazie alla politica di Trump.

L’ideologia politica della Repubblica dell’Islam, che si compone di islamismo e anti-imperialismo, facendo dell’America e del suo stile di vita il primo nemico, si dimostra per ora più forte della politica economica. L’Iran è per ora sicuro della superiorità morale e si affretta a dipingere Trump e la sua amministrazione come un insieme di figure arroganti e un po’ volgari, che portano solo ostilità e discordia – sempre nel quotidiano Jaam-e Jam un video mostra come Iran ed Europa sarebbero migliori alleati senza la presenza arrogante degli Stati Uniti.

D’altra parte l’America esercita pressioni e si rivolge direttamente al popolo iraniano che già si è opposto al regime in passato, sperando forse che la prossima crisi economica causata dalle sanzioni porterà a una rinnovata ondata di rivolte che farà vacillare il regime.



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