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Così la propaganda nei Paesi Baltici viene pilotata da Mosca

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La propaganda filorussa nei Paesi Baltici? Viene pilotata e alimentata direttamente da Mosca, su temi regionali come la crisi ucraina o l’espansione della Nato ad Est. Ad ammetterlo è stato lo stesso giornale online Baltnews, che a seguito di un’inchiesta condotta da BuzzFeed e da altri portali web come Re:Baltica e Postimees ha dovuto ammettere di essere posseduta e gestita dallo stato russo attraverso l’agenzia di stampa governativa Rossiya Segodnya.

LA RETE DI PROPAGANDA

I siti sotto “indagine”, riporta Meduza, sono tre, tutti collegati a Mosca. Il report – che si basa su prove concrete come i log di Skype e altri documenti – evidenzia che lo staff di Rossiya Segodnya avrebbe scelto e approvato la trattazione di alcune tematiche, nonché spinto per la pubblicazione di alcuni materiali. Le circostanze – compresa la ricezione di denaro da Mosca – sono state in un primo momento negate dai redattori di BaltNews in Estonia, Lettonia e Lituania, che hanno invece ammesso solo l’esistenza di accordi di “condivisione delle informazioni” con un’altra agenzia di stampa governativa russa, RIA Novosti.

L’AMMISSIONE

Tuttavia, dopo essere stata messa alle corde, BaltNews ha ceduto. Sul sito lituano di Baltnews si legge infatti che l’agenzia di informazione “è registrata presso la Roskomnadzor”, ovvero l’organo della Federazione Russa che controlla le comunicazioni, ed “è posseduta da Rossiya Segodnya”.
Stessa cosa è accaduta sul portale estone, che solo intorno al 29 agosto, in prossimità dell’inchiesta, ha rivelato il nome dei suoi veri proprietari.

LA COSTELLAZIONE DI MEDIA PRO-CREMLINO

Alla questione delle fake news e delle campagne di influenza – un tema molto discusso di recente anche in Italia dopo la tempesta di tweet contro il Quirinale – l’Atlantic Council, think tank di Washington, ha dedicato uno dei suoi report più noti anche nel nostro Paese, “The Kremlin’s Trojan Horses” 2.0. Lo studio analizza l’influenza russa all’interno dei sistemi politici e sociali di Italia, Grecia e Spagna (nella prima edizione si parlava più approfonditamente di Germania, Francia e Regno Unito).
Lo stesso “pensatoio”, attraverso il proprio laboratorio dedicato alle analisi dei contenuti open source circolanti in Rete – il Digital Forensic Research Lab diretto da Graham Brookie – si è concentrato molto sulle attività di disinformazione, sui metodi utilizzati e sugli effetti che queste hanno sugli internauti e sull’agenda mediatica.

I METODI UTILIZZATI

Dagli studi emerge un quadro sfaccettato, che illustra come il ciclo di vita delle campagne di influenza sia complesso e non lineare, anche se estremamente calcolato ed efficace. Uno degli esempi fatti dal DfrLab è quello dell’utilizzo di piattaforme come YouTube. Sul sito di video sharing, la presenza di RT – un network tv finanziato dal Cremlino noto in precedenza con il nome di Russia Today – è capillare e riesce a sfruttare gli algoritmi della piattaforma per diffondere contenuti che sponsorizzano un’informazione Made in Mosca che domina nei risultati di ricerca e che viene talvolta rilanciata sul Web – in particolare su Twitter, usato molto da giornalisti e politici, e Facebook, il social network diffuso al mondo – da reti di bot che simulano una condivisione spontanea. Questi contenuti vengono poi ripresi da un vasto numero di influencer che li rendono definitivamente popolari e parte del dibattito. È importante notare, sottolineava il DfrLab, che non tutti i contenuti diffusi dai canali possono essere considerati disinformazione, anzi. Secondo gli esperti del team di ricerca, uno dei punti di forza di questo genere di network sarebbe proprio quello di produrre video e news di buona fattura giornalistica che ne rafforzano la credibilità agli occhi degli utenti, aspetto che li pone in alto nei risultati di ricerca, ai quali però vengono di volta in volta alternati specifici servizi – questi sì bollati dall’analisi come falsi – su temi di interesse per la politica del Cremlino: la guerra in Siria, l’uso di armi chimiche da parte del regime di Bashar al-Assad, la crisi ucraina, o il caso Skripal nel Regno Unito.
Un meccanismo simile regolerebbe la disseminazione di fake news vere e proprie, la cui genesi è più complicata da attribuire ma altrettanto pervasiva, poiché basata su una miriade di account e di siti apparentemente non collegati tra loro ma contraddistinti da una linea comune.

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