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E se il Russiagate fosse in realtà un Chinagate? Le accuse di Trump

Il Russiagate che da mesi agita gli Stati Uniti potrebbe essere in realtà un Chinagate secondo il presidente americano Donald Trump. Come da consuetudine, a pochi mesi dalle elezioni di midterm di novembre, l’inquilino della Casa Bianca – sin dal principio critico verso l’inchiesta condotta dal procuratore generale Robert Mueller che ha portato finora all’incriminazione di oltre dieci tra soggetti e entità ritenuti collegati a presunte attività di interferenza condotte dall’intelligence militare di Mosca durante le passate presidenziali e che secondo l’opposizione lo avrebbero avvantaggiato – ha twittato messaggi che faranno discutere. “Le email di Hillary Clinton, molte delle quali costituiscono Informazioni Riservate”, ha scritto il magnate newyorkese in un “cinguettio”, sono state hackerate dalla Cina. La prossima mossa è meglio che sia dell’Fbi e del DOJ (Dipartimento di Giustizia, ndr) o, dopo tutti i loro altri passi falsi (Comey, McCabe, Strzok, Page, Ohr, FISA, Dirty Dossier, eccetera), la loro credibilità sarà persa per sempre!”.

L’ARTICOLO DEL DAILY CALLER

L’affondo di Trump – che lo allontana ancora di più dalle ricostruzioni dell’intelligence americana che attribuiscono a Mosca la responsabilità della violazione – è arrivato dopo un articolo pubblicato dal sito conservatore Daily Caller, secondo il quale una società cinese avrebbe potuto inserire nel server privato di posta elettronica della Clinton un codice capace di girare automaticamente in tempo reale le mail ad altri soggetti. A supporto della tesi, la testata americana cita due fonti. Una è il deputato repubblicano texano, Louie Gohmert, noto in patria per le sue teorie complottiste, che a luglio aveva detto che le conversazioni erano state inviate a una terza parte che non era la Russia. L’altro è un anonimo funzionario dei servizi segreti.

LA REPLICA DI PECHINO

Non si è fatta attendere la replica di Pechino. “Ci opponiamo fermamente e reprimiamo ogni accusa di attacco internet e il furto di segreti”, ha dichiarato oggi la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying, aggiungendo che la Cina è un “convinto difensore della cyber security”, e che “non è la prima volta che sentiamo accuse simili”, riferendosi a un’accusa analoga risalente all’aprile dello scorso anno.

LE ATTIVITÀ CINESI

Al momento non ci sono prove a supporto di quanto scritto da Trump, così come mancano reazioni politiche o di esperti alle sue parole, anche se è plausibile immaginare che il dibattito sul tema crescerà nelle prossime ore. Anche perché, al netto di questa vicenda, l’attivismo di Pechino nel cyber spazio – forse più che quello di Mosca – viene osservato con grande attenzione da Washington, che considera la Cina un forte competitor – economico e di sicurezza – in campo tecnologico, come dimostrano gli attriti con i colossi Huawei e Zte ma anche le crescenti preoccupazioni sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Nelle circa trenta pagine del nuovo ‘Worldwide Threat Assessment of the US Intelligence Community’, documento di analisi strategica presentato a febbraio dinanzi al Comitato Intelligence del Senato da Dan Coats, direttore della National Intelligence (che racchiude 17 agenzie e organizzazioni del governo federale), si evince la preoccupazione per i piani di Pechino e di altri Paesi (compresa la Russia), che – a differenza di singoli gruppi – possono contare su organizzazione e ingenti risorse, utili a mettere in atto strategie diverse sempre più aggressive.
La Repubblica Popolare, secondo lo studio, continuerà ad utilizzare lo spionaggio informatico e a rafforzare le sue capacità di condurre attacchi cyber a sostegno delle priorità di sicurezza nazionale (anche se in misura minore rispetto a quanto avveniva prima degli accordi bilaterali siglati nel 2015). La maggior parte delle operazioni cibernetiche cinesi scoperte contro l’industria del Stati Uniti, si sottolinea, si concentrano su aziende della difesa, di IT e comunicazione.
Non è un caso che l’argomento sia anche oggetto di uno specifico report annuale del Pentagono al Congresso, che si concentra sui progressi e i pericoli delle operazioni informatiche di Pechino in ambito militare.

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