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Salvini il leninista? L’analisi di Vespa dopo l’incontro con Orbán

L’incontro tra Matteo Salvini e Viktor Orbán racchiude diversi temi: un’idea di Europa radicalmente diversa da come la conosciamo, una chiusura totale all’immigrazione irregolare e forse a tutta l’immigrazione, un rafforzamento di leadership che in Italia e soprattutto nel Movimento 5 Stelle sta facendo alzare il livello di allerta. Il ministro dell’Interno leghista ha incontrato il premier ungherese nella veste di leader di un partito in crescita e, nelle sue intenzioni, di leader dell’Italia del futuro: le parole e gli slogan, i progetti per le elezioni europee del maggio 2019 e per un’Europa vicina alla Russia di Vladimir Putin e sempre più lontana dagli interessi dell’Europa occidentale e della Nato danno la chiara impressione che stia continuando una campagna elettorale mai conclusa e che i veri obiettivi siano altri piuttosto che quelli annunciati ufficialmente.

Marco Minniti, in due interviste a Panorama e a In Onda, ha fornito un’originale e stimolante definizione di Salvini e della Lega: ha detto che il ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio è il capo dell’ultimo partito leninista perché in lui c’è l’idea leninista dell’occupazione delle istituzioni e dello Stato-rivoluzione. Argomento per gli storici, ma di un ex comunista dalla lunga esperienza politica forse ci si può fidare.

Nella conferenza stampa tenuta nella prefettura di Milano, a conferma che si è trattato di un incontro di governo e non solo politico come derubricato da Luigi Di Maio, solo Orbán ha fatto un rapido cenno al tema di fondo dell’immigrazione: “Quando i migranti sono già entrati il compito degli Stati non è suddividerli, ma riportarli a casa loro”. Affermazione ineccepibile se i partiti sovranisti al governo come quelli italiano e ungherese alle parole aggiungessero una battaglia in sede europea per convincere gli altri Stati membri a stanziare molti più soldi di quelli attuali e ad avviare concrete trattative diplomatiche con i Paesi di provenienza e con quelli di transito del traffico di esseri umani. Invece la battaglia si manifesta con una chiusura assoluta dell’Ungheria, anche a quei migranti che dovrebbero essere accolti obbligatoriamente per le ricollocazioni, e con scontri feroci del governo italiano con Bruxelles e alcuni Stati membri che, nonostante alcune nostre evidenti ragioni, hanno portato all’isolamento dell’Italia e all’accoglienza della quasi totalità dei migranti di Nave Diciotti. Gli oltre 100 che saranno ospitati nelle diocesi non andranno dentro il Vaticano, dunque all’estero, ma resteranno sul territorio italiano dove sono fin dal momento dell’imbarco sulla nave della Guardia costiera.

Inoltre, Salvini ha fatto un’affermazione sorprendente dicendo che la modifica del Regolamento di Dublino non è più una priorità: dopo anni di battaglie, le conclusioni del Consiglio europeo di giugno per cui ora quel regolamento potrà essere cambiato solo all’unanimità, come volevano Orbán e gli altri Paesi di Visegrad, si trasformano in una presa d’atto pubblica del ministro dell’Interno che andrebbe spiegata agli elettori leghisti.

Mettendo insieme elementi diversi, è evidente un rincorrersi tra Lega e M5S per aumentare i consensi: Salvini ribadisce che possono pure arrestarlo, ma che le inchieste non lo fermano e che in un prossimo caso Diciotti si comporterà nello stesso modo; Luigi Di Maio annuncia il reddito di cittadinanza per il 2019 anche sforando il 3 per cento, nonostante i secchi di acqua ghiacciata che gli getta addosso il ministro dell’Economia; lo stesso capo politico del M5S annuncia la denuncia alla Corte dei Conti nei confronti dei governi precedenti per danno erariale in relazione alla concessione della società Autostrade. Tutto fieno in cascina per le prossime elezioni, che siano amministrative o europee. Anche politiche? Certo è che se l’opposizione di sinistra è quella della manifestazione di Milano contro l’incontro Orbán-Salvini, il governo dorme sonni tranquilli: è parso un risveglio post feriale mentre il confronto politico dovrà basarsi su altri parametri. È sempre il vecchio discorso che in una democrazia occorrono pesi e contrappesi.

E il presidente del Consiglio? Giuseppe Conte sta per affrontare il periodo più difficile della sua esperienza a Palazzo Chigi: i suoi due vice sgomitano sui social network e, in particolare, Salvini imposta una linea di politica estera che non è quella di Conte, del ministro Enzo Moavero Milanesi e del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Settembre è alle porte con la Legge di bilancio e con il bubbone Libia da affrontare: lì aumentano gli scontri mentre Salvini annuncia incontri imminenti in Nord Africa, Israele e Russia e Di Maio se ne va in Egitto. Tra poche settimane bisognerà vedere qualche risultato concreto, altrimenti sarà più difficile dire che è tutta colpa dell’Europa.

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