Cina, Russia e Occidente. Sono i tre versanti a cui Ankara guarda con spirito diverso e con mosse che, da diplomatiche, si trasformano in provocatorie. Ma è indubbio che senza l’occidente la Turchia va a fondo.
È l’opinione del generale Carlo Jean, esperto di strategia militare e di geopolitica, che in questa conversazione con Formiche.net scompone il ping pong sanzionatorio che stanno giocando Washington e Ankara per analizzare premesse e prospettive del player turco, sia nello scacchiere mediorientale sia in quello euromediterraneo con la Nato alla finestra.
La guerra a colpi di sanzioni tra Usa e Turchia a cosa potrà portare nel breve-medio periodo?
A ben poco. Erdogan è fortemente al potere anche se la situazione bancaria turca è in una fase critica. Determinante a riguardo è l’azione dell’Ue più che degli Usa. L’Ue ha oltre il 40% dell’interscambio con la Turchia, mentre gli Usa meno del 10%.
Da queste colonne l’ex ministro della Difesa, Mario Mauro, ha detto che la Nato in questo momento vive il dramma di avere un’alleanza con una probabile crisi di identità al suo interno. Che ne pensa?
La crisi di identità della Nato è iniziata dopo il crollo dell’Unione sovietica, di conseguenza ha perso gran parte della sua ragione sociale. Deve ancor adeguarsi, anche se in verità aveva cercato di darsi una nuova veste con l’idea della cosiddetta Nato globale, ovvero alleata degli Usa anche in Asia e in Medio Oriente. Adesso è in atto una trasformazione legata anche alle azioni di Trump che ha messo in dubbio la possibilità che gli Stati Uniti agiscano in base all’art. 5 del Trattato di Washington.
Con quale perimetro?
Gli Usa hanno aumentato gli stanziamenti per l’Europa, dove hanno riposizionato del materiale pesante. Sono stati i primi a schierare truppe in Polonia e negli Stati Baltici, continuano nel programma legato al sistema anti-missile in Romania e Polonia. Sullo sfondo hanno dei problemi legati al cosiddetto sovranismo europeo, perché senza un’Europa abbastanza unita anche guardando a Berlino i rapporti con Washington subiscono delle conseguenze. Tutto sommato la Nato resta il fondamento della sicurezza europea.
Per quanto?
Intanto perché la Germania non vuole assumersi la responsabilità, dal momento che in caso contrario dovrebbe sviluppare delle armi nucleari. Certamente non è questo il momento più adatto per parlare di una nuclearizzazione, ovvero di quegli accordi del 1957 che avevano previsto la bomba europea, poi bocciati da De Gaulle che aveva virato sul deterrente nucleare.
Erdogan punta a far deteriorare i suoi rapporti con Washington per ingraziarsi Mosca?
A mio avviso è Mosca che preme per far deteriorare i rapporti euro turchi, ma nella situazione economica in cui si trova Ankara non ha altra strada se non mantenersi ben stretta l’occidente. Senza l’occidente la Turchia va a fondo e la Russia non è in condizioni di aiutarla, al di là di qualche assist come sistemi missilistici, centrale nucleare, implementazione del Turkish Stream o importazione di qualche prodotto. Ankara senza dubbio sta cercando di sviluppare un’azione autonoma soprattutto nella direzione di voler aumentare la sua influenza nel mondo islamico e rafforzare i suoi legami con Teheran. Ma la zona più evoluta della Turchia, quella occidentale della penisola anatolica, resta strettamente collegata con l’occidente.
Quanto influisce in questa vicenda il caso siriano e le influenze cinesi?
In Siria la Turchia ha avuto un ruolo nella gestione dei curdi-siriani, così come Washington faceva quando ospitavano esponenti del Pkk. Certamente Ankara è in una fase di transizione anche perché tenta di diversificare la sua posizione tra Russia, Cina e occidente. Però da un punto di vista strettamente economico è più rilevante la presenza cinese in Turchia che non quella russa.
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