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Perché il portavoce di Haftar si scaglia contro l’Italia. Il game changing in Libia

Lunedì, alla Casa Bianca, il premier italiano Giuseppe Conte ha incassato un successo frutto di anni di lavoro impostato dai governi precedenti: l’Italia sarà considerata dagli Stati Uniti l’interlocutore privilegiato per le faccende nel Mediterraneo e soprattutto sulla Libia, dossier su cui il presidente statunitense Donald Trump dice di fidarsi di Roma e prende con questo una posizione semi-politica sul dossier che mancava dalla sua elezione – ed era flebile nell’ultimo periodo della passata amministrazione.

Se adesso siamo a questo punto con Washington, è grazie al lavoro continuo e discreto fatto da militari specializzati dalle alte competenze psico-politiche e dai servizi segreti nel tessere rapporti, relazioni, contatti, interessi; lavoro che si è abbinato alle attività politiche e diplomatiche.

Se l’Italia incassa quella fiducia, poi, è anche grazie all’opportunità concessa con l’apertura incondizionata della base di Sigonella agli americani – appoggio logistico da cui gli americani continuano la caccia ai terroristi libici.

Ora il governo italiano trova il consenso forte della Washington di Trump anche sul completo sostegno a Fayez Serraj, designato premier da un programma di governo studiato dall’Onu e sempre sostenuto dall’Italia – anche a cavallo delle incertezze sul dossier dei primi mesi della nuova amministrazione americana. Roma non cambia linea, Washington sottolinea quella tenuta da sempre dalla precedente amministrazione.

Anche quando la situazione in Libia evolveva a favore del maresciallo di campo, signore della guerra dell’Est con sede a Bengasi, Khalifa Haftar, appoggiato da Egitto, Emirati Arabi e Russia. Roma e Washington hanno mantenuto il dialogo continuo, ma mai creduto che Haftar fosse, da solo, la soluzione.

Altro passaggio che il governo italiano capitalizza è la riapertura dell’ambasciata italiana in Libia, guidata da Giuseppe Perrone.

A distanza di un anno e mezzo, lunedì, mentre il premier del governo italiano flirtava con Trump sulla Libia, Perrone – che intanto ha infittito la rete di relazioni e costruito un network che permette il via vai continuo di membri dell’attuale governo italiano e di operativi governativi di vario genere e livello, e pian piano altro genere di relazioni economiche – era a Tripoli proprio con Serraj. A fianco a loro c’era Claudio Descalzi, ceo di Eni, la più grande azienda italiana che ha interessi forti in Libia: si parlava di investimenti, di petrolio e gas e poi di sviluppo nel Fezzan, regione senza legge in cui, anche lì, l’Italia sta lavorando per creare complicati accordi tra tribù da almeno tre anni.

Ora Haftar che, qualcuno sosteneva dovesse essere la soluzione alternativa e più funzionale a Serraj (in Italia anche per attaccare la linea del governo precedente), torna a bersagliare Roma. Il maresciallo è rimasto tagliato fuori, ed indebolito anche grazie alla diplomazia dialogante italiana (c’è stato in effetti un momento in cui sembrava rinvigorito, un paio di anni fa), che non ha mai mollato il piano onusiano: gli spazi per lui sono ancora più stretti.

Intervistato in questi giorni dall’agenzia stampa italiana Nova, il generale Ahmed al Mismari, portavoce dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), la milizia con ambizioni di controllo politico sul territorio della Cirenaica comandata da Haftar, accusa Roma: l’Italia è un paese “indispensabile” per la Libia, ma ha scelto di sostenere Misurata e Tripoli e questo “è inaccettabile” per noi; “La posizione italiana è sbilanciata su Misurata”, siete andati a Ghat (una missione militare finanziata dall’UE nel Sud come primo sopralluogo per valutare opere infrastrutturali da realizzare come misure di controllo ai flussi migratori) “senza consultarci”, siete peggio degli americani, sembra il 1911.

Mismari passa anche per il sostegno italiano alla Guardia Costiera libica, su cui ha scommesso il precedente governo italiano in un piano delicato e controverso per il controllo delle migrazioni sostenuto con gran fanfare dall’attuale esecutivo, soprattutto per quel che riguarda la sponda leghista. Rivendica un ruolo per i suoi, dice che una sua delegazione è già stata a parlare a Roma, invita la ministro della Difesa italiana, Elisabetta Trenta, a incontrare Haftar (dell’incontro se ne parla, ma con l’attuale peso che l’Italia si trova sulla Libia, la decisione della ministro difficilmente sarà influenzata da certe dichiarazioni).

L’Italia sta costruendo accuratamente una Conferenza internazionale sull’andamento della situazione in Libia da ospitare a Roma in autunno: un’occasione di confronto operativo su cui Roma vuole giocare il ruolo di pivot. Posizione diversa quella francese, con Parigi che spinge invece per un percorso elettorale su cui gli italiani chiedono cautela. “C’è confronto, ma non derby”, commenta una fonte diplomatica che preferisce restare anonima: “La dialettica non prevarica sulla forte amicizia, il legame con la Francia è solido”.

Quello che dice Mismari non è tanto interessante di per sé (usa un repertorio anti-italiano ampio da cui sono nate negli anni molte fake news usate dalle precedenti opposizioni in Parlamento per screditare il lavoro dei governi di Roma), ma lo diventa se si alza il livello dell’analisi. Lna in effetti gode di un sostegno discreto della Francia: ora che Conte è allineato con Trump sulla Libia, la chiave anti-Parigi diventa piuttosto evidente, sia da parte di Roma che da Washington (che in questo momento non ha ottimi rapporti con l’Eliseo), e in questa competizione i problemi della Libia – le divisioni interne e gli interessi esterni nell’alimentarle – potrebbero avere un nuovo sviluppo.

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