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Tutti parlano con tutti. Anche gli Usa con Assad. (Come l’Italia)

A giugno, una delegazione operativa di uomini di sicurezza e intelligence statunitensi, sarebbe volata a Damasco. Una volta atterrata all’aeroporto internazionale della capitale siriana si sarebbe fermata per circa quattro ore per parlare con Ali Mamlouk, capo della sicurezza siriana e consigliere speciale del presidente Bashar el Assad (di contatti del genere s’è già parlato, per esempio lo scorso novembre).

La ricostruzione arriva dall’incrocio di quel che ha detto alla Reuters una fonte proveniente “dall’alleanza regionale che sostiene il presidente Assad” e da quanto scritto da al Akhbar, media vicino al gruppo terroristico libanese Hezbollah (che è la principale forza armata che dà sostegno ad Assad a terra). Al Akhbar diffonde molta propaganda e disinformazione, per questo va sempre tarata, ma in questo caso c’è l’autorevolezza della Reuters a dar sostanza alla storia.

Mamlouk è da tempo l’interlocutore privilegiato dell’Occidente, il volto potabile (è stato spesso tirato in ballo come potenziale dopo-Assad) con cui il regime siriano tiene aperto un imprescindibile canale di comunicazione. Ma la portavoce del Dipartimento di Stato, Heather Nauert, ha dichiarato che quanto riportato dai media “non rispecchia la realtà” e che il suo dipartimento “non è a conoscenza” di certe visite.

Invece due funzionari delle agenzie americane hanno spiegato alla Reuters che c’è un “dialogo in corso” con con i membri del regime di Assad, con cui si parla innanzitutto di Stato islamico (che è una preoccupazione secondaria per il regime, concentrato sugli altri ribelli, ma su cui Damasco ha informazioni dirette), e anche di controllo di armi chimiche – e certamente di politica e deconflicting.

E pure, dicono gli americani, del giornalista Austin Tice, rapito nel 2012, “che i funzionari credono che Damasco o i suoi alleati stiano tenendo prigioniero” scrive l’agenzia inglese, a far capire che potrebbe essere detenuto dalle forze regolari siriane come dai gruppi religiosi sciiti mossi dall’Iran a supporto di Assad (quelli come Hezbollah o le varie milizie irachene).

Secondo il giornale filo-Hez, durante l’incontro gli americani hanno chiesto a Damasco di forzare la mano sul ritiro delle forze iraniane a sud: posizione che è da tempo sostenuta da Washington anche perché interesse primario dell’alleato Israele. Poi avrebbero chiesto informazioni sui gruppi armati, anche quelli stranieri che sostengono il governo – che sono noti per la loro ideologia anti-americana, espressa in più occasioni nell’arco degli anni.

Mamlouk, secondo quanto scrive al-Akhbar corroborato dalla fonte della Reuters, avrebbe avvisato gli americani che senza una normalizzazione dei rapporti non ci sarà mai collaborazione in ambito sicurezza.

Attualmente, il regime siriano è inattaccabile: con l’aiuto russo e iraniano ha riconquistato la gran parte del territorio preso dai ribelli e si prepara alla fase finale su Idlib, riserva indiana delle opposizioni, presto sotto offensiva governativa. Forse anche per questo sono in corso certi contatti.

Ma è anche possibile che si tratti di un falso narrativo: qualcosa che serva a minare il ruolo americano sulla Siria, dove le relazioni con Mamlouk e la normalizzazione sembrerebbero un tradimento delle posizioni anti-Assad sostenute finora. Al Akhbar ha parlato anche del ritiro americano dalla Siria e di interessi petroliferi statunitensi come argomenti di discussione con Mamloouk: due temi che è piuttosto improbabile che gli americani vogliano affrontare col rappresentante del governo siriano – e sul petrolio, difficile abbiano interessi diretti, forze più di garanzia ai curdi.

Martedì, il capo del Pentagono, James Mattis, per esempio non ha parlato di alcun imminente ritiro per i duemila soldati statunitensi che in Siria combattono lo Stato islamico. Anzi, ha stabilito tre condizioni chiare, ma di lungo termine, affinché ciò avvenga: “Uno, dobbiamo distruggere l’ISIS […] Dobbiamo addestrare le truppe locali che possono prendere il sopravvento […] e abbiamo bisogno del processo di Ginevra, il processo riconosciuto dall’Onu, per iniziare a produrre trazione per risolvere questa guerra”.

Uno dei massimi esperti del conflitto siriano, Charles Lister, del Middle East Institute di Washington, ha detto al sito emiratino The National che comunque non ci sarebbe “niente di sorprendente” se gli americani tenessero relazioni con Mamlouk.

Mesi fa un incontro del genere fu denunciato strumentalmente dal francese Monde, in un articolo in cui si accusava il governo italiano di tenere relazioni segrete e clandestine con il regime siriano: si parlava infatti di un vertice tenuto da Mamlouk con alcuni funzionari dell’esecutivo di Roma.

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