È stato quasi unanime, sia pure con diverse sfumature, da parte di sottoscrittori, Autorità nazionali e locali e della stampa italiana l’apprezzamento dell’accordo fra governo, azienda e sindacati per il futuro del Gruppo Ilva che – dopo il referendum del 13 prossimo fra i suoi dipendenti sui contenuti specifici dell’intesa – verrà definitivamente acquisito da Am Investco controllata dal big player siderurgico mondiale Arcelor Mittal.
E nel contesto delineato nel documento per il futuro dei vari siti, il ruolo fondamentale continuerà ad essere ricoperto dallo stabilimento di Taranto i cui livelli occupazionali dovrebbero attestarsi a 8.200 unità, con una riduzione rispetto alle attuali di circa 2.500 addetti: una cifra elevata che, tuttavia, conserverebbe alla fabbrica ionica non solo il primato fra le acciaierie europee per capacità installata, ma anche il primo posto per numero di occupati fra quelle manifatturiere a livello nazionale. Questo è un dato su cui non ci stancheremo di richiamare l’attenzione per evidenziare che nel Sud ed in Puglia è localizzato lo stabilimento con il maggior numero di persone impiegate dell’intero Paese, a dimostrazione che il Mezzogiorno – ove sono localizzate anche la seconda (la FCA a Melfi) e la terza (la Sevel in Val di Sangro) fabbrica per il numero dei loro addetti – non è affatto il deserto industriale prefigurato spesso da alcuni osservatori.
La nuova proprietà, come hanno ribadito subito Mittal e il suo management, sarà impegnata sin dal primo giorno del suo ingresso in fabbrica – di cui peraltro dovrà essere dissequestrata l’area a caldo – ad avviarvi tutti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria per rilanciarne la produzione, a partire dall’ultimo trimestre dell’anno in corso, o almeno a garantirla per assicurare le consegne delle commesse sinora acquisite, e per avviarvi l’introduzione di tutte le tecnologie e le best practices previste per mitigare al massimo l’impatto ambientale degli impianti. Su questo terreno è sperabile che si instaurino subito proficui rapporti di collaborazione tecnica fra l’azienda e le Autorità preposte ai controlli su emissioni e condizioni di lavoro in fabbrica che dovranno essere assolutamente costanti e rigorosi secondo quanto previsto dalle norme vigenti, ma (almeno inizialmente) senza contrapposizioni pregiudiziali al nuovo azionista. In tal modo, si potranno e dovranno offrire precise e doverose rassicurazioni ai lavoratori del Siderurgico e ai cittadini, ma anche puntuali risposte a tutti coloro che si ritengono traditi dalle decisioni del Ministro Di Maio e dal suo impegno, giustamente riconosciutogli giovedi sera anche dall’ex Ministro Calenda, a chiudere positivamente la lunghissima vicenda.
Saranno così l’intero ‘sistema Taranto’ e il suo hinterland a trarre respiro dal progressivo recupero di produzione dello stabilimento: movimentazioni portuali, imprese dell’indotto manutentivo, dei servizi di mensa, di pulizie industriali e di trasporto di beni e persone, attività creditizie – anche le banche del territorio sono state stressate per lungo tempo dalla scarsezza di circolazione monetaria che traeva poco alimento dall’esercizio asfittico della fabbrica – commerci, edilizia abitativa e mercato immobiliare: infatti la conservazione dei livelli salariali acquisiti per tutti coloro che saranno riassunti da Arcelor, o che saranno beneficiati dalla ripresa delle commesse all’indotto, e le agevolazioni previste per gli esodi incentivati dovrebbero conservare una massa di risorse finanziarie di notevoli dimensioni, spendibile nel contesto economico locale.
Ma Taranto e il retroterra che gli gravita intorno – e nel quale, non lo dimentichiamo mai, sono già ben presenti altre attività manifatturiere leggere di vari settori e dimensioni, coltivazioni agricole e strutture turistiche anche di pregio – dovranno ulteriormente diversificare il loro tessuto produttivo in direzione della logistica avanzata e delle manutenzioni e demolizioni navali – grazie alle imponenti strutture portuali del capoluogo e aeroportuali di Grottaglie – dell’aerospazio, della meccanica strumentale, delle tecnologie per la tutela ambientale, dell’agroalimentare di qualità, dell’Ict, dell’artigianato artistico, della nautica da diporto, delle coltivazioni ittiche, del legno-mobilio, del tessile-abbigliamento, delle attività museali e di ricerca avanzata: tutti comparti, lo sappiamo, già diffusi sul territorio e che tuttavia, a nostro avviso, dovrebbero essere conosciuti e valorizzati sempre meglio dalle Istituzioni locali e da tutta la popolazione, il cui immaginario collettivo viene quasi sempre raffigurato come segnato dai timori legati alle emissioni nocive della produzione siderurgica.
Nel piano strategico della Zona economica speciale dello Ionio – che si allarga ad aree della Basilicata – lo scrivente e la task force incaricata dalla Regione hanno minuziosamente delineato i possibili percorsi di diversificazione produttiva e merceologica del grande polo tarantino che, grazie all’impegno dell’Unione Europea, del Governo, della Regione e degli Enti locali può e deve aspirare a rivivere un New Deal, come agli inizi degli anni Sessanta, salvaguardando e innovando la produzione siderurgica, ma arricchendo capillarmente il territorio con l’innesto o la crescita di comparti che già oggi ne costituiscono un prezioso patrimonio di risorse umane e materiali.
Bisogna dunque rimettersi in cammino, senza riluttanze e scoraggiate desistenze, per riconquistare nella civiltà del Mediterraneo il posto che tuttora compete alla affascinante capitale della Magna Grecia.