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Jet russo abbattuto in Siria. Il rimpallo delle accuse tra Assad e Israele

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Ieri la Isi,la ImageSat International, una società si occupa di geospazio in Israele, ha diffuso delle che riguardano quello che è successo qualche giorno fa in Siria: una foto scattata da un satellite il 9 agosto mostra un capannone che nella simmetrica immagine del 18 settembre è praticamente raso al suolo. A ridurlo un cumulo di macerie è stato un attacco aereo eseguito proprio da Israele – forzato per circostanze collegate ad ammettere l’azione, circa la duecentisma del genere nei sette anni di conflitto siriano, che di solito non commentate – nell’area di Latakia. Le intelligence di Gerusalemme avevano da tempo informazioni che quello fosse uno dei depositi in cui l’Iran appoggiava armi da fornire ai miliziani libanesi Hezbollah, alleati iraniani nel sostegno al regime di Bashar el Assad, che Teheran fin dall’inizio della guerra civile sta armando, sfruttando il caos del conflitto siriano.

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Israele ha un interesse prioritario su questi passaggi di armi, perché ritiene che nulla c’entrino con quel che avviene in Siria, ma sono un modo con cui la Repubblica islamica invita i suoi proxy a muoversi, quando sarà il momento, contro il nemico esistenziale rappresentato dallo stato ebraico (Hezbollah è la principale delle milizie, per forza e numero, che l’Iran ha mosso, infuocando posizioni ideologiche, per sostenere Assad e gli interessi degli ayatollah in Siria: tutte condividono un odio profondo verso gli ebrei, verso l’Occidente, e verso i sunniti).

L’attacco dell’altro ieri a Latakia è stato sui generis per almeno due aspetti (ed entrambi sono la ragione per cui Israele ha dovuto ammettere pubblicamente la missione). Primo, ha colpito un deposito di armi che gli israeliani ascrivono agli iraniani in un’area in cui la presenza russa è predominante: Latakia ospita infatti la base aerea di Hmeimimm, centro di comando non solo siriano, ma regionale, di Mosca – tra l’altro, tra gli obiettivi del raid che s’è svolto nella notte tra il 17 e il 18 settembre c’è stato anche un target nell’area di Tartus, dove la Russia ha piazzato il suo avamposto navale sul Mediterraneo. Secondo, durante il raid un aereo da pattugliamento e guerra elettronica russo è caduto in mare, perché colpito da un missile della contraerea siriana, che stava cercando di sopprimere i cacciabombardieri israeliani.

L’episodio di fuoco amico è arrivato poche ore dopo che Mosca e Ankara avevano deciso di creare una buffer zone deradicalizzata attorno a Idlib, dove confinare la opposizioni (anche armate) non jihadiste, con l’obiettivo di evitare una crisi umanitaria. Il contesto ha creato dunque un ulteriore ritorno in termini politico-diplomatici.

Secondo la ricostruzione ufficiale fornita sia dalla Russia che da Israele, l’areo russo, un Il-20, si trovava in volo per una missione lungo la costa mediterranea della Siria, quando l’aviazione di Gerusalemme ha comunicato l’attacco. Gli israeliani hanno dato un minuto di preavviso, l’Il-20 non aveva tempo per rientrare a Hmeimim, e i russi hanno deciso di lasciarlo in cielo, con la consapevolezza che i caccia dell’Iaf (l’Israeli Air Force) non lo avrebbero toccato. Così è stato, dicono da Gerusalemme: c’è un accordo operativo tra russi e israeliani sulla Siria, ci sono canali di comunicazione.

I cacciabombardieri F16 dell’Iaf, dicono gli israeliani, erano già in fase di rientro dopo i raid (eseguiti con le Gbu-39 Small Diameter Bombs, bombe di precisione sganciate da 60 miglia nautiche di distanza dall’obiettivo) quando l’Il-20 è stato colpito dalla contraerea siriana, che ha risposto lentamente – come sempre – all’incursione nemica, e ha centrato il bersaglio sbagliato. Mosca, per bocca del presidente Vladimir Putin (che ha parlato al telefono con i vertici israeliani, i quali hanno espresso condoglianze per l’accaduto), ha subito cercato ammorbidire i toni. Come più volte successo nei casi in cui la Russia è andata in discussione con Israele, il Cremlino ha cercato di riportare la calma: ha parlato di un tragico incidente, ha scaricato gli israeliani di colpe che invece i siriani continuano ad attribuire a loro.

Il rais siriano Assad ha caricato su Israele l’intera responsabilità dell’abbattimento dell’aereo russo, oggi è stata resa pubblica una lettera di condoglianze inviata al Cremlino: “L’esecrabile incidente – scrive Assad – è stato il risultato della solita confusione israeliana che usa sempre i mezzi più sporchi per ottenere i suoi bassi scopi e portare avanti la sua aggressione nella nostra regione”. Damasco cerca anche il modo di smarcarsi da un fantozziano, quanto drammatico, errore di tiro della propria contraerea: lo deve fare per la Russia, ma anche perché Assad sta ricostruendo una posizione di forza, anche politica, tra i siriani e non può permettersi passi falsi.

Attenzione: al netto della propaganda e della difesa ovvia, Assad potrebbe non sbagliarsi completamente. I caccia israeliani pare abbiano usato mezzi per distrarre i radar e mandare in confusione le frequenze dei sistemi di intercettazione collegati ai lanciatori terra-aria siriani (che poi sono di fabbricazione russa, e potrebbero aver avuto nei centri di gestione anche consulenti militari mandati da Mosca).

Oggi il capo dell’aviazione israeliana, il generale Amikam Norkin, è atteso Mosca. È stato scelto lui dal governo di Bibi Netanyahu per sottoporre alle autorità russe le informazioni in suo possesso sull’abbattimento dell’Il-20. Il comandante sarà accompagnato da una delegazione, e oltre ai risultati dell’inchiesta interna sui fatti di 72 ore fa, si porterà dietro aggiornamenti ”sui continui tentativi dell’Iran di trasferire armi strategiche all’organizzazione terroristica Hezbollah”.

Quella di Norkin è invece la linea difensiva israeliana: Gerusalemme cerca di portare prove sul fatto che l’azione – in Siria, ma contro l’Iran – fosse necessaria, priorità per la sicurezza nazionale dello stato ebraico. Da tempo gli israeliani stanno sfruttando la partnership con la Russia per convincere Mosca a mollare Teheran, o quanto meno a tenerlo sotto controllo – l’Iran è accusato di voler trasformare la Siria in una propria piattaforma militare, con funzioni anti-Israele.

 

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