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Banche e titoli di Stato. L’effetto Casalino sui mercati

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Da quando è iniziato lo scontro sotterraneo tra i 5stelle – soprattutto Luigi di Maio protagonista – ed i tecnici del Tesoro, gli spread sui titoli di stato, che alla fine d’agosto erano pari a 291 punti base, ne sono diminuiti (quotazioni di venerdì scorso) di 70: raggiungendo quota 220,7. Oggi in apertura dei mercati, invece, un nuovo balzo in avanti (più 9 per cento scarso) che li riporta ad attestarsi sui 242 punti base. Si vedrà alla fine della seduta la chiusura del cerchio. Andamento analogo per le due corazzate del sistema bancario italiano – Banca Intesa e Unicredit – già fortemente penalizzate (meno 24 per cento) rispetto alla performance di inizio d’anno. Anche in questo caso le quotazioni azionarie migliorano fino allo scorso venerdì (rispettivamente più 15 e 13 per cento) per poi subire un calo in apertura di seduta.

Come si spiegano questi andamenti? In una prima fase la polemica è stata interpretata in modo favorevole dal mercato. Giovani Tria e gli altri ministri tecnici, con il sostegno delle principali Istituzioni nazionali ed internazionali, erano visti come il possibile baluardo ad una deriva, destinata, altrimenti, a travolgere i fragili equilibri della finanza pubblica italiana. Finché esistono questi presidi – questo il ragionamento – le precedenti preoccupazioni potevano essere accantonate. Lo stesso programma per il governo per il cambiamento poteva essere proiettato nella sua giusta dimensione: l’intera legislatura. Ipotesi che avrebbe diluito nel tempo le misure da realizzare senza determinare sfracelli. Anzi, c’era da sperare che una ritrovata stabilità politica potesse avere un effetto positivo sul tasso di crescita dell’economia nazionale e, quindi, fornire risorse aggiuntive per quegli interventi sul welfare che, dopo anni di crisi e patimenti, hanno una loro intrinseca giustificazione.

In questo schema i politici potevano fare la loro parte, nel rincuorare i rispettivi elettorati. I tecnici mantenere dritta la barra, per evitare guai maggiori. La tesi di Paolo Savona, enunciata con lucidità nell’intervista a Maria Annunziata. Questo delicato equilibrio si è rotto dopo la voce dal sen fuggita da parte di Rocco Casalino. Non solo per le cose dette, ma per la violenza dei toni usati. E per le coperture che gli sono state fornite sia dal presidente Conte che dallo stesso Di Maio. Il primo ha minimizzato, cercando di salvare capre e cavoli. Il secondo ha addirittura provveduto a redarguire coloro che, all’interno dello stesso movimento, avevano osato prenderne le distanze. Dimostrando così che le posizioni di Casalino sono tutt’altro che isolate, ma rispondono al sentire profondo di quella forza politica.

Ma se tecnici e politici invece di convergere, pur nella diversità dei ruoli, verso un unico obiettivo entrano in rotta di collisione; la tregua dei giorni precedenti non può che mostrare tutta la sua fragilità. I mercati ne prendono atto e ricomincia lo stillicidio delle vendite. Ed a soffrirne sono da un lato i titoli di Stato, dall’altro le banche che di quei titoli sono i principali sottoscrittori. Come si vede il monito di Mario Draghi sulle “parole” che fanno danni e provocano “rialzi dei tassi per famiglie ed imprese” ha avuto una sua immediata dimostrazione. Per arginare la portata dei guasti prodotti servono, ora, quei “fatti, con la presentazione della legge di bilancio” – è sempre Draghi che parla – sui quali chiamare “risparmiatori e investitori” ad esprimere il loro giudizio. Operazione, tutt’altro, che semplice.

Le vicende ultime hanno evidenziato una frattura che non è facile ricomporre. Non è tanto questione di reciproca buona volontà. Quanto di rispetto delle prerogative che il nostro sistema costituzionale disegna per i rispettivi ruoli. Compito del Ragioniere generale dello stato, tanto per fare un esempio, non è quello di assecondare tizio o caio. Ma di garantire il rispetto dell’articolo 81 della Costituzione. Qualora venisse meno ai suoi doveri commetterebbe un illecito variamente sanzionabile. Ne consegue che lo scontro innescato dalle dichiarazioni di Rocco Casalino ha avuto l’effetto di alzare un muro, contribuendo a rendere ancora più distanti le relative posizioni. È stato come un sasso lanciato in uno stagno. I cerchi concentrici, nati dall’impatto, finiscono per coinvolgere tutti gli assetti istituzionali: dalle opposizioni, costrette ancor di più a vigilare, fino al Presidente della Repubblica. Per non parlare, infine, della Commissione europea.

Quest’ultimo è indubbiamente il lato più esposto. Un conto, infatti, è andare a discutere a Bruxelles avendo alle spalle un fronte unito. Un altro è mostrare una frattura che, alla fine, è riconducibile alla differenza tra chi sostiene la necessità del rispetto delle regole europee e chi, invece, intende violarle. Tanto più che precedenti colloqui nelle sedi deputate hanno già portato ad un preaccordo, sul tetto del deficit ammissibile, dai quali è difficile prescindere. Almeno da un punto di vista tecnico. Ed allora come uscirne? Sarebbe bene che, alla fine, ciascuno continui a fare il proprio mestiere. Che Giovanni Tria indichi con rigore il quadro finanziario programmatico, avendo come base il tendenziale modificato dai più recenti andamenti della congiuntura. E lasci poi il compito a Giuseppe Conte. Spetta a lui trattare “politicamente” con l’Europa, come sempre è avvenuto in passato, e spuntare eventualmente maggiori flessibilità. Oneri ed onori, quindi. Sarebbe anche il modo più corretto per riconciliare, dopo tanti strappi, quel rapporto tra tecnici e politici che, nel frattempo, si è sfilacciato.

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