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Dazi a go-go. Così Trump vuole colpire ancora la Cina (pare)

cina

Il presidente americano, Donald Trump, ha deciso: la Cina sarà colpita con una nuova, terribile ondata di dazi commerciali dal valore di 200 miliardi di dollari. Lo rivelano due fonti informate sulla decisione al Washington Post, sottolineando che tra pochi giorni le più grandi misure di restrizioni economiche mai imposte da un presidente statunitense a un altro paese saranno ufficializzate.

Più di mille i prodotti cinesi che saranno colpiti, frigoriferi, televisioni, giocattoli, condizionatori, e molti altri generi Made in China, subiranno un rialzo delle tariffe prima di entrare negli Usa. Una misura che andrà a colpire la metà dell’intero export cinese negli Stati Uniti. Valore previsto: 10 per cento, non 25 come i rialzi delle precedenti extra tariffazioni, e questo è per evitare ricadute interne. Qualche giorno fa, la questione era stata sollevata dalla Apple in una lettera diretta al Rappresentante al commercio, Robert Lighthizer: Apple Watch, AirPods, MacMini rischiavano di finire invischiati nella guerra commerciale (per via della produzione in Cina), perché i conseguenti aumenti dei prezzi sarebbero finiti per favorire indirettamente le vendite dei concorrenti cinesi (Huawei e Zte, le due più importanti ditte delle telecomunicazioni cinesi, sono già state colpite dagli americani con altre azioni).

“Il presidente è stato chiaro che lui e la sua amministrazione continueranno a prendere provvedimenti per affrontare le pratiche commerciali sleali della Cina. Incoraggiamo la Cina ad affrontare le preoccupazioni di vecchia data sollevate dagli Stati Uniti”, è il commento più ufficiale ottenuto dal WaPo, firmato da una portavoce della Casa Bianca, Lindsay Walters.

Fin dall’inizio dello scontro commerciale, all’interno dell’amministrazione americana ci sono stati elementi che hanno chiesto un approccio più morbido, per esempio il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, ma Trump è da sempre più propenso a dare ascolto ai sostenitori della linea dura. Il cui pensiero è: solo se le azioni americane fossero arrivate all’economia reale cinese, Pechino avrebbe iniziato a rivedere quelle che Washington considera pratiche economiche scorrette (ri-bilanciamento del deficit commerciale, maggiore aperture agli investimenti americani in Cina, concorrenza sleale su spinta governativa, spionaggio aziendale e furti di proprietà intellettuale).

In effetti, le nuove tariffe arriveranno mentre funzionari americani, su spinta di Mnuchin e dei lati più dialoganti dell’amministrazione, stanno organizzando con i cinesi un nuovo round di negoziati, dopo che pretendenti giri andata e ritorno Washington-Pechino si sono chiusi senza risultati (essenzialmente: la Cina non vuole accettare imposizioni su come modificare la propria economia, ma forse una soluzione potrebbe arrivare con gli americani disposti a misure intermedie sullo sbilancio commerciale, anche solo da utilizzare come successo politico, anche perché, nonostante la postura aggressiva, il primo semestre 2018 ha segnato un ulteriore aumento del deficit import/export con i cinesi).

I cinesi sono pronti a contromisure di rappresaglia, simmetriche come già fatto in passato sugli altri 50 miliardi di beni tassati dagli Usa. Gli americani, secondo quanto riportato dai media nei giorni scorsi, avrebbero stretto su altre questioni in piedi con paesi alleati (gli europei, i due del Nafta e il Giappone) per costruire un fronte compatto anti-Cina.

 


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