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Se il deficit di rappresentanza supera lo spread. La nota politica di Giacalone

Il governo Conte punta a spingere la crescita del Prodotto interno lordo, che comunque ci sarebbe, mediante una maggiore spesa pubblica, finanziata in deficit, quindi a debito. Se l’operazione riuscisse la maggiore crescita sarebbe capace di far diminuire il debito, non in cifra assoluta, naturalmente, ma in percentuale rispetto al Pil. Serve, quindi, che la crescita del Pil viaggi più velocemente della crescita del debito. Se questo non dovesse avvenire saremmo nei guai e, come dice il ministro dell’economia, si dovrebbe far scattare delle clausole di salvaguardia (dove l’ho già sentita?) bloccando spese ulteriori. Ergo: se si cresce va bene spendere, se non si cresce si ferma la spesa. Più o meno il contrario di quel che è scritto nei manuali. Ma poco importa. Serve a nulla liquidare tale impostazione come follemente demagogica, occorre farci i conti. È suicida tifare spread. È da inutili sperare che siano il Quirinale o la Commissione europea a guidare l’opposizione a questa politica. Di seguito il perché.

La nuova spesa pubblica è indirizzata verso chi non lavora o per permettergli di non lavorare. Finanzia bisognosi (reali o presunti) e favorisce pensionamenti. Inoltre il suo crescere farà salire, con ogni probabilità più che proporzionalmente, la spesa per interessi. Per supporre che faccia da tonico l’economia occorre credere che questa sia guidata dai consumi e non dalla produzione. Convincimento antico e sbagliato. Ed è un primo indizio circa il fatto che tale politica non è nuova e non è di rottura, è la riproposizione del passato. Fallimentare.

Il secondo indizio è dato dal finanziamento del fondo per il risarcimento dei truffati dalle banche. Bello da dirsi, ma pessimo da farsi: i truffati deve risarcirli il truffatore, non il contribuente. Ci si fa belli con i soldi degli altri e si finisce con il depotenziare la punizione dei colpevoli, creando la categoria dei truffati senza truffatore. Fu l’impostazione che contestai al governo Renzi, ripresa in totale continuità.

Se ti permetti di dire che fare altro deficit, per un Paese già gravato da un debito ciclopico, non è saggio, ti rispondono: è quel che hanno fatto i governi precedenti. Vero, infatti lo rimproveravo loro. Ma significativa la risposta: la manovra del cambiamento è un’operazione di continuità.

La ragione per cui le opposizioni strillano, ma sono afone, si vede che spalancano la bocca, ma non si capisce cosa dicono, sta nel fatto che i nuovi fanno quello che i vecchi avrebbero voluto fare e non osarono, o, meglio, dicevano che avrebbero fatto, ma non facevano perché sapevano essere ad altissimo rischio. Se non partono dal riesame degli errori che commisero e commettono possono pure chiudere bottega.

Se facessero politica si ricorderebbero che nella primavera del 2012 fu introdotto in Costituzione il pareggio di bilancio. Quanti argomentarono contro ci contammo sulle dita di una mano (anche perché il pareggio c’era già e, come volevasi dimostrare, non c’è stato dopo).  Ma la cosa passò di gran carriera, Lega in testa: alla Camera 442 sì, 3 no e 6 astenuti; al Senato 222 sì e 4 no. Proponente originario il ministro dell’economia, tal Giulio Tremonti, relatore alla Camera Giancarlo Giorgetti, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Tutti ad applaudire: basta con i soldi degli italiani spesi da politicastri che accrescono i debiti. Sono passati solo dei mesi! Come è possibile traslocare sì velocemente dal rigore di bilancio al “me ne frego!”, che porta pure sfiga?

La ragione c’è, ovviamente politica. Non è solo questione di demagogia e propaganda, ma di sostanza: se l’operazione va a buon fine entra nel medagliere di chi governa, se, più probabilmente, finisce male allora ci porta sull’uscio dell’Unione europea. Come, coerentemente, la Lega propone da anni: basta euro. Per l’Italia produttiva sarebbe la rovina, ma per quell’operazione politica un trionfo. Suppongo puntino al buon fine, ma non escludono punto un piano b.

Ciò rende insulso attendere le bocciature da parte della Commissione europea, perché sarebbe come tifare per i peggiori fra gli odierni governanti. E questo è un punto assai delicato, perché dimostra come il problema delle opposizioni, il problema del Pd e di Forza Italia, non è (solo) avere perso dei voti, ma avere perso idee e avere distrutto patrimoni. Detta in modo ruvido: non sono credibili. Dovrebbero ripartire da lì, ricostruendo idee e credibilità. Se si mettono, sotto sotto, senza dirlo ma facendolo capire pure ai sassi, a tifare spread, vuol dire che non hanno più nulla, ma proprio nulla da dire.

Così come è stolto supporre che delle castagne siano cavate dal Quirinale. Se così fosse Tria non sarebbe già più ministro. Ma così non è.

Morale: non si faccia gli spocchiosi per quattro incoscienti che festeggiano l’avere più debiti, perché la loro pochezza è la materiale prova della maggiore incapacità altrui. Quelli stanno facendo politica, le opposizioni no. Per fare politica non basta la propaganda, ci vuole qualche cosa da propagandare. Certo, ci sarebbe l’intera Italia produttiva e seria che ha perso rappresentanza, ma difficile sedurla se a pretendere di contrastare quelli che fanno di questa roba ci sono quelli che dissero di volerla fare. Mentendo nel loro essere sinceri.

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