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Perché Erdogan non può gioire troppo per i dati sull’economia turca

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I quotidiani turchi festeggiano, ma non è un dato molto indicativo visto che ormai sono tutti sotto il controllo del governo e soprattutto, data la tendenza all’esaltazione dell’orgoglio nazionale anche in campo giornalistico, lo farebbero anche senza il controllo di Ankara.

La notizia è che nel secondo trimestre del 2018, l’economia turca è cresciuta del 5,2% rispetto allo scorso anno. La notizia completa è che questa potrebbe essere l’ultima buona notizia e per giunta per lungo tempo. Il dato del Tuik, l’Istat turco, è in buona dose in linea con le previsioni della vigilia. Quello che non si dice, almeno sui quotidiani locali, è che i segnali di rallentamento ci sono tutti e che se la scure della recessione non si è ancora abbattuta è solo perché la Mezzaluna non ha ancora assorbito la botta della crisi subita dalla svalutazione della moneta nazionale. Tradotto in termini semplici: i dati del terzo e del quarto trimestre potrebbero peggiorare progressivamente portando il Paese alla fine dell’anno tecnicamente in recessione.

Un saggio ha detto che ci sono bugie, grosse bugie e infine ci sono le statistiche. Funziona così anche per i dati di oggi. Il ministro delle Finanze, nonché suocero di Erdogan, Berat Albayrak, ha salutato i risultati non come l’ultimo warning, ma come un pericolo quasi scampato, dicendo che, nonostante il calo degli investimenti, la domanda interna ha tenuto.

Ha ragione solo in parte. Il consumo interno ha fatto in effetti registrare un aumento del 6,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ma nel primo trimestre era al 9,3% e a causa delle conseguenze della svalutazione della lira, nei prossimi sei mesi è destinato a peggiorare. Se si conta che il consumo interno conta circa i due terzi del pil nazionale, c’è poco da stare allegri. L’export ha fatto segnare un incremento del 4,5%, un buon risultato a cui contribuisce la tanto vituperata Unione Europea, che, pur criticata dal presidente Recep Tayyip Erdogan in più occasioni e minacciata di venire abbandonata dalla Turchia per partner più strategici, continua a mantenere alta la domanda di merci dalla Mezzaluna. Segno che, chi teme di perdere la Turchia e impone a Bruxelles di chiudere occhi davanti alle richieste eccessive di Ankara, a scapito di diritti umani e questioni di sicurezza ben più serie, farebbe bene a stare zitto. Anche qui, però, c’è una brutta notizia. Le importazioni sono diminuite, toccando il livello più basso dal 2014. Segno che la domanda interna ha già iniziato a fermarsi. Se poi si conta che l’export turco ha un’alta intensità di importazioni, nel terzo trimestre questo sarà un dato particolarmente interessante da osservare.

Del resto, stamattina, a scaldarsi poco per i dati del secondo trimestre, sono stati per primi i mercati nazionali. Il cambio della lira sul dollaro era 6,48 prima del comunicato del Tuik, chiudendo la prima sessione di borsa a Istanbul a 6,45. La verità è che aspettano tutti le mosse del governo che, con questi chiari di luna, ha come strada obbligata quella dei tagli alla spesa pubblica.

Ma l’appuntamento più importante sarà quello di giovedì prossimo. La Commissione delle Politiche monetarie della Banca Centrale si riunirà dopo un’estate rovente per la valuta nazionale. La previsione (e il desiderio) di molti è un aumento dei tassi di interesse, che servirà non solo a riportare pace sui mercati, ma soprattutto a fare vedere se la Banca Centrale goda ancora di un minimo di autonomia dal presidente Erdogan, che poi, è uno dei motivi che ha alimentato la svalutazione della moneta nazionale negli ultimi mesi.


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