C’è per l’Europa un’alternativa al populismo? È una domanda quanto mai pertinente quella che Judy Dempsey, senior fellow di Carnegie Europe, pone ad un gruppo di studiosi europei e internazionali. A meno di nove mesi dall’appuntamento elettorale europeo è infatti lecito chiedersi se il progetto europeo naufragherà travolto dalla marea sovranista o invece troverà in sé stesso la forza per offrire ai cittadini del continente una via alternativa a quella sovran-populista oggi incarnata dal duo Salvini-Orban.
Per Rosa Balfour, Senior Fellow al German Marshall Found, l’alternativa c’è, ma avverte: non ci sono scorciatoie. “I vecchi partiti mainstream potrebbero essere tentati di fare accordi tra di loro per impedire ai populisti di salire al potere…ma questo è esattamente una ragione che spinge i cittadini a votare contro l’establishment”. L’antidoto al populismo – spiega l’esperta – sono piuttosto “nuove idee per combattere l’ineguaglianza e l’insicurezza sociale, per creare posti di lavoro nell’economia verde…la sinistra, la destra e il centro devono combattere la battaglia delle idee, non quella per i posti di potere”.
Opinione questa condivisa da Natalia Banulescu del Migration Policy Institute, che invita l’Europa a smettere di “nascondere sotto il tappeto i temi più controversi”, come ad esempio quello dell’immigrazione. “La via da seguire per la politica – spiega l’esperta – è quella di creare nuovi canali per far esprimere le rimostranze pubbliche…attraverso consultazioni dei cittadini o piattaforme digitali che possano dare voce a chi è rimasto indietro”. Invece di respingere in toto il populismo, i politici mainstream dovrebbero “cooptarlo”, diventando più sensibili alle preoccupazioni di ogni giorno degli elettori.
il populismo non è il destino ineluttabile dell’Europa anche per Caroline de Gruyter, corrispondente per il Nrc Handelsblad. La giornalista osserva infatti che in Europa “lo zoccolo duro estremista è piuttosto piccolo ma fa molto rumore. Il problema – ammonisce – è che i partiti tradizionali si sono mossi verso posizioni sempre più populiste…il risultato è che i populisti dominano ovunque il dibattito pubblico”. Ciò che preoccupa de Gruyter, non sono tanto i populisti, che fanno semplicemente il loro mestiere, ma quei partiti ‘centristi’ che invece di rimanere fedeli ai loro ideali, “scimmiottano gli estremisti”.
Stessa analisi, con toni ancora più espliciti, quella che fa Stefano Lehne, visiting scholar di Carnegie Europe. “Il pericolo più grande rimane quello che i politici centristi, per paura di perdere voti, possano permettere ai populisti di definire l’agenda copiando le loro politiche nazionaliste e xenofobe”, spiega la ricercatrice, che cerca tuttavia di ridimensionare il fenomeno. “I populisti hanno si guadagnato terreno, ma rimangono una minoranza nella maggior parte dei Paesi Ue”, dice, dichiarandosi ottimista anche sull’esito delle elezioni 2019. “I partiti populisti è improbabile che ottengano persino un quarto dei voti”. Il populismo però, avverte, non scomparirà, e obbliga i politici tradizionale a “elaborare soluzioni concrete sulla migrazione e gli effetti negativi della globalizzazione”.
Se i populisti non vanno imitati, per Sophia Gaston, visiting research fellow alla London School of Economics, occorre almeno ascoltare attentamente le rimostranze del loro elettorato. “Il populismo dovrebbe suonare come un campanello dall’allarme per i politici tradizionali”, per prestare più attenzione a temi troppo speso ignorati, come identità, senso di appartenenza, cultura e tradizione. Tuttavia – ammonisce l’esperta – “così come le forze del populismo non si sono formate dal giorno alla notte, c’è una lunga strada davanti per riacquistare la fiducia dell’elettorato…l’alternativa al populismo c’è, la questione è se i leader politici avranno il coraggio e l’energia per realizzarla”.
Un tassello di questo percorso lo indica Josef Janning, senior fellow dell’European Council of Foreign Relations, che indica il tema della sovranità come il punto cardine della battaglia ai populisti. Questi ultimi – spiega Janning – “insistono su una nozione tradizionale di sovranità, che secondo loro può essere solamente nazionale”. Tuttavia, una riappropriazione dei poteri da parte degli stati nazionali non restituirebbe loro la capacità di assicurare sicurezza e benessere economico ai cittadini. Per questo, “occorre rilanciare il concetto di sovranità europea, per difendere al meglio gli interessi dell’Ue e degli stati membri. Il nazionalismo – conclude – si combatte proteggendo gli stati dal suo malfunzionamento”.
Tessa Szynszkowitz, corrispondente dalla Gran Bretagna per l’Austrian News Magazine, ben riassume il punto centrale del dibattito. L’alternativa al populismo c’è, ma passa per il sentiero stretto tra il “prendere sul serio le paure degli elettori”, e il pericolo di “legittimare le posizioni xenofobe dei populisti”. In mezzo, spiega, ci deve essere il tentativo di “rinnovare il contratto sociale con gli elettori”, a partire dal modello europeo di welfare.
I populisti, nel frattempo, si combattono ottenendo risultati proprio su quei temi su cui essi puntano per guadagnare consensi, spiega Paul Taylor, editorialista di Politico. “I populisti fanno dell’Ue un capro espiatorio per i fallimenti della politica nazionale, dal crollo di un ponte a fenomeni come la globalizzazione…l’alternativa risiede in una politica europea efficace che affronti temi trans-nazionali come la migrazione, il cambiamento climatico e il commercio”.
Le elezioni del 2019 sono state definite da più parti come un crocevia fondamentale per il progetto europeo. “I barbari a Roma”, commentava il Financial Times le prime ipotesi di governo giallo-verde nel nostro Paese. Di fronte alla debolezza e ai fallimenti dei partiti europeisti, il rischio, concreto, è che dopo la Città eterna anche Bruxelles finisca nelle mani delle forze populiste. Gli strumenti per una controffensiva, apparentemente, non mancano. Sta ora alla politica europea trovare il coraggio e l’acume politico per utilizzarli.