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Il fiume di rubli che scorre in Europa trova un primo stop. E Bruxelles apre gli occhi (e Roma?)

L’amministratore delegato di Danske Bank, Thomas Borgen, non guiderà più il principale istituto bancario della Danimarca: a indurlo alle dimissioni è stato uno scandalo collegato al riciclaggio di denaro proveniente soprattutto dalla Russia e da altri stati dell’ex Unione Sovietica, scoperto all’inizio dell’anno dal Dipartimento del Tesoro americano e reso pubblico in questi giorni.

“È nell’interesse generale che lasci il mio posto”, ha commentato Borgen, che nei giorni scorsi ha visto l’indagine avviata dagli americani e dalle autorità danesi finire sulle pagine del Wall Street Journal, con conseguente altro crollo del titolo al Nasdaq Nordic (sussidiaria del servizio finanziario americano che copre i paesi del Nord, del Baltico e del Caucaso). Negli ultimi sei mesi la banca danese – 19mila dipendenti, blasonato maggior retail del Nord Europa, revenue per oltre 47 miliardi, tripla A come affidabilità secondo i sistemi di giudizio internazionali – ha perso il 33 per cento del proprio valore: l’8 solo ieri, quando è stato reso pubblico il report redatto dallo studio legale Brun & Hjejle, a cui era stata affidata un’inchiesta indipendente per capire quel che stava succedendo a proposito del flusso di rubli ripuliti attraverso la filiale estone (oggi le azioni hanno avuto un rialzo perché un report tecnico della Ubs ha scritto che “le azioni della Danske Bank siano interessanti, anche in uno scenario di multe finanziarie significative”).

“È evidente che Danske Bank non è stata all’altezza delle sue responsabilità nel caso del possibile riciclaggio di denaro in Estonia. Mi dispiace molto”, ha detto Borgen commentando il suo addio; una lettera in cui ha messo in chiaro che come Ceo non ha responsabilità legali su quanto accaduto, anche se alcuni dipendenti da tempo sapevano di certe anomalie e forse erano collusi con alcuni clienti.

Dalle 9 milioni di mail interne (e oltre 7 mila documenti, più altri milioni di transizioni bancarie) emerge che la filiale estone della Danske Bank era utilizzata per gestire i compensi di attività ambigue di diversi oligarchi russi – anche del circolo putiniano, a quanto pare. Rimbalzava giroconti verso Seychelles, Panama, Belize, e girava soldi finiti in beni di lusso (diamanti, auto da collezione, proprietà immobiliari esclusive).

Aziende senza dipendenti e nessuna rappresentanza fisica hanno mosso dal 2007 al 2015 qualcosa come 200 miliardi di euro in bonifici triangolati verso prestanome, tutti partiti dall’Estonia, un paese che ha un Pil da 23 miliardi l’anno – la filiale estone della Danske ha 10mila clienti “non-resident portfolio“, ossia non residenti in Estonia, e secondo il report dello studio legale oltre il 60 per cento di questi sono “altamente sospettati” di riciclaggio (saranno i magistrati a scovare le prove): eppure Borgen non si era accorto di niente, la direzione centrale era ignare della magagna.

La vicenda ha un’enorme centralità per gli interessi di Bruxelles: il 4 settembre l’Olanda ha alzato la più grossa sanzione contro una banca comunitaria, la Ing (olandese), per aver facilitato – senza collusione – attività di riciclaggio di denaro. L’Unione europea s’è scoperta particolarmente vulnerabile sotto questo nervo, con diversi episodi scoperti nel corso dell’anno, avvenuti a Cipro, Malta e altri paesi periferici dell’Ue. I legislatori europei stanno cercando di correre ai ripari, seguendo anche l’esempio offerto dalle regole americane, sotto questo aspetto molto più strette e severe nelle punizioni (all’inizio di questa settimana i politici danesi hanno votato un aumento di otto volte delle ammende massime per il riciclaggio di denaro sporco, rendendola una delle giurisdizioni più difficili in Europa).

Quello della Danske, ha detto la commissario europea per la Giustizia, Věra Jourová, “è il più grosso scandalo” in Europa.  Jourová oggi ha chiamato a rapporto i ministri estoni e danesi: “Voglio capire meglio dove si sono verificati i principali errori, sia che si trattasse unicamente di una colpa della due diligence fatta dalla banca stessa o di qualche errore dell’autorità di vigilanza” (la “due diligence”, coniato molti anni fa dalla Rothschild di Parigi, è il processo investigativo che viene attuato per analizzare il valore e le condizioni di un’azienda, o di un ramo di essa, per la quale vi siano all’orizzonte acquisizioni, fusioni o investimenti. Ndr). “Il fatto che la Danimarca sia stata al centro di un riciclaggio di denaro di queste dimensioni è francamente abbastanza orribile”, ha commentato il primo ministro danese, Lars Løkke Rasmussen.

C’è inoltre un altro aspetto critico: il peso politico di quanto accaduto con la Danske (e non solo). L’Estonia, come gli altri Paesi Baltici, ma anche la Danimarca, con Svezia, Finlandia Norvegia e Islanda, sono nazioni dove la penetrazione russa è piuttosto profonda e sofferta. Provocazioni militari (anche nel campo cyber), pressioni e interferenze politiche. Lo sfruttamento di quei sistemi bancari per ripulire soldi degli oligarchi del circolo del potere attorno russo – alcuni già invischiati nel caso del “Russian Laudromat” – è certamente un colpo per i governi locali, che si dimostrano incapaci di controllare con i proprio meccanismi regolatori nazionali certe dinamiche; e anche per questo l’Ue sta pensando a un nuovo sistema, o una nuova agenzia, che centralizzi i controlli anti-riciclaggio.

La questione diventa ancora più pungente se si considera quanto scritto in un report redatto da Giulia Lillo per il Ce.S.I. (il Centro Studi Internazionali diretto da Andrea Margelletti) riguardo ai collegamenti tra le iniziative di guerra ibrida russa e misure attive e la criminalità organizzata – più nota come Rboc acronimo inglese di Russian-based organized crime. Secondo l’analisi, Mosca sfrutta la Rboc – che “non è mai stato un fattore esterno al sistema politico ed economico russo, bensì c’è sempre stata sovrapposizione e connessione tra il governo e le reti criminali”, anche ai tempi dell’Urss, spiega Lillo – anche per portare avanti le missioni più sporche tra le attività di interferenze contro Nato e governi pro-occidentali.

Scrive Lillo: “L’abilità di muoversi attraverso i canali finanziari legali ed illegali permette alla criminalità di movimentare ingenti quantità di denaro e aggirare gli ostacoli e le limitazioni poste in essere dal regime sanzionatorio imposto al Cremlino dopo l’annessione della Crimea”.

Mercoledì, Bill Browder, un gestore di hedge fund americano che ha condotto una crociata contro la corruzione e il riciclaggio di denaro da parte di ricchi e potenti russi, ha affermato che la filiale estone di Danske è stata coinvolta nella frode scoperta dal suo avvocato Sergei Magnitsky, picchiato a morte in un carcere russo nel 2009, e odiato per il suo lavoro dal Cremlino e dai circoli del potere russo.

 

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