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Incognita Idlib. L’offensiva finale di Assad spiegata dall’Ispi

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Cosa sta accadendo esattamente a Idlib, l’ultima roccaforte dei ribelli anti-Assad? E come si muovono gli attori internazionali che le gravitano intorno? La Siria si avvia verso un ennesimo disastroso boomerang della guerra che la tiene sotto scacco da ormai sette lunghi anni. In un focus dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, si ripercorrono gli scenari della crisi, analizzando gli ultimi eventi di Idlib e tentando di evidenziarne gli aspetti cruciali, fondamentali per il futuro del Paese stesso.

L’Osservatorio siriano per i diritti umani, insieme alle molteplici testimonianze, denunciano l’utilizzo delle bombe a grappolo sui villaggi nord-occidentali e jet russi che bombardano le città a nord di Hama. Il destino del conflitto sarebbe ormai segnato, e l’appoggio di Russia e Iran alla manovra finale del regime di Assad, porrebbe il sigillo sulla riuscita dell’operazione.

OBIETTIVO IDLIB

La città siriana teatro dell’ultima battaglia di Assad per la riconquista del territorio è, come si legge nel focus Ispi, da definirsi una delle quattro aree di de-escalation, insieme a Homs-Hama, Daraa’ e Gouta, concordate con la Turchia, l’Iran e la Turchia, e fortezza del gruppo terrorista di al-Qaeda, Hayat Tahrir al-Sham. È inoltre, e questo è il motivo per cui cresce la preoccupazione che possa trasformarsi nel teatro di un disastro umanitario, il punto centrale di ricollocazione di centinaia di civili sfollati mentre il regime di Damasco avanzava nella riconquista delle zone del Paese. Mentre il Segretario di Stato Mike Pompeo ha fatto sapere che di comprendere la portata della minaccia terroristica, ma di temere per le vittime civili, secondo le stime delle Nazioni Unite a Idlib risiedono circa 3 milioni di civili, con un rischio considerevole per circa 900 mila di loro.

Come si legge nel focus, “secondo l’inviato speciale dell’Onu per la Siria Staffan de Mistura, a Idlib ci sarebbero 10.000 combattenti di Hayat Tahrir al-Sham – la formazione jihadista controllerebbe infatti circa il 60% della provincia – mescolati a migliaia di altri combattenti di vari gruppi”. Dunque è automatico pensare, come fanno gli osservatori, che i terroristi non si arrenderanno tanto facilmente. “Al contrario, dal loro punto di vista un’offensiva particolarmente sanguinaria accrescerebbe la pressione della comunità internazionale su Russia e Siria, costringendole a permettere ai jihadisti di mantenere la loro enclave”, si legge nel report.

REBUS USA

L’amministrazione Trump si è trovata a riflettere sull’opzione da utilizzare in Siria, e dopo aver annunciato a lungo di volersi ritirare, ha ultimamente fatto un passo indietro decidendo per l’avvio di una nuova strategia che vedrebbe nel Paese “per un periodo di tempo non definito” circa 2200 soldati americani, al fine di continuare la lotta per il contrasto dello Stato Islamico. Anche se, come si legge sempre nel report pubblicato dall’Ispi, il presidente Usa potrebbe ricercare effettivamente “uno smarcamento dal teatro siriano. La via di uscita per Washington passa però inevitabilmente da un accordo con la Russia”.

E se gli ultimi incontri, da quello a Ginevra del fine agosto, al vertice di Helsinki tra Trump e Putin avvenuto a metà luglio, appare comunque ancora insufficiente per una risoluzione americana in questo senso. La politica, ancora diffidente e poco controbilanciata nelle ultime mosse con Mosca, resta lontana da questa prospettiva, secondo l’Ispi. Senza contare che per un effettivo “smarcamento” dalla Siria, gli Stati Uniti dovrebbero fare pressione anche sull’Iran, chiedendone la riduzione militare sul territorio.

IL RUOLO DELLA TURCHIA

In tutto questo, non è da sottovalutare il ruolo di Ankara nell’operazione. Infatti, mentre il presidente Erdogan nell’ultimo incontro con il triumvirato di Astana, ha sottolineato la necessità di mediare, chiedendo un cessate il fuoco (al contrario di Russia e Iran), per evitare una catastrofe, bisogna analizzare la posizione geografica turca per comprendere più approfonditamente le azioni e relazioni. “La zona di de-escalation di Idlib si estende oltre i confini amministrativi della provincia e comprende parti delle province di Hama, Latakia e Aleppo. È direttamente adiacente alle aree su cui la Turchia ha stabilito il proprio controllo: il triangolo al-Bab, Jarablus, Azaz e il cantone di Afrin a seguito rispettivamente delle due operazioni militari Scudo dell’Eufrate (tra l’agosto 2016 e il marzo 2017) e Ramo di ulivo (tra gennaio e marzo 2018)”.

La posizione del presidente Erdogan è da riconnettere a due aspetti fondamentali: il primo è quello del contenimento della nuova ondata di rifugiati che si riverserebbero in Turchia con l’assedio di Idlib, il secondo è l’inviolabilità dell’opposizione moderata dell’Esercito libero siriano. Attraverso quest’ultimo, infatti, il leader turco punta ad allargare la sua zona di influenza all’interno del Paese.

LE MOSSE DI MOSCA

La Russia di Putin, che in quest’area continua a giocare un ruolo di fondamentale importanza, si trova comunque a dover gestire, attraverso il suo ruolo di mediatrice, tutti i diversi attori che gravitano intorno alla crisi siriana. Se a Idlib ha cercato di stabilire un argine per le azioni di Damasco, limitandone l’irruenza dell’azione, allo stesso tempo ha cercato di mantenere saldi i rapporti con l’incognita turca. Così che limitando le vittime civili, si possa ristabilire una sorta di tranquilltà con gli Usa, che a quel punto non interverrebbero.

Dunque, da un lato la necessità di mediare tra le parti, dall’altra quella di sconfiggere il terrorismo che invade l’area. Secondo l’Ispi “la via di uscita ideale per Mosca sarebbe il raggiungimento di un “accordo di riconciliazione” tra i ribelli e Damasco, come avvenuto nel sud della Siria. L’estrema radicalizzazione dell’opposizione raccoltasi a Idlib, oltre al fatto che i ribelli non avrebbero più dove andare, rende però altamente improbabile questa ipotesi”.

In conclusione un futuro, quello della Siria, che si aggrappa al negoziato di Astana e, a maggior ragione a quello che rimarrà dell’opposizione dopo la riconquista da parte di Assad dell’intera regione. La Turchia, infatti, data la tensione dell’ultimo periodo e le minacce di abbandonare i colloqui se non saranno rispettate le sue prerogative, potrebbe lasciare i negoziati con Russia e Iran creando uno nuovo scenario. Ma, secondo il focus dell’Ispi, anche il rapporto tra Ankara e l’Occidente, in particolare con gli usa, va deteriorandosi, rendendo meno effettivo e possibile una reale rottura con la Russia.

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