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La battaglia di Idlib segnerà il futuro della Siria, con gli Usa messi alle strette. L’analisi di Bressan

Siria, assad

Quello che succederà a Idlib segnerà il futuro del nord della Siria e del paese, spiega Matteo Bressan, analista della Nato Defence College Foundation, docente di Relazioni internazionali presso la Lumsa: uno degli esperti italiani che segue da più tempo la crisi siriana.

Le ultime notizie dicono che la Russia ha (ri)avviato i bombardamenti nell’area di Idlib, dove migliaia di ribelli e centinaia di migliaia di civili si erano rifugiati: che cosa sta succedendo?

Quanto sta accadendo in questo ore, con l’inizio dei bombardamenti russi nella provincia di Idlib e la possibile operazione di terra da parte dei governativi, rappresenta un’ulteriore evoluzione del conflitto siriano, giunto ormai nell’ottavo anno. La fase della guerra civile, della scontro tra milizie e regime è sostanzialmente terminata e ora, ritrovato un precario equilibro sul Golan tra Siria ed Israele, è in discussione l’assetto di tutto il nord del paese. Un assetto, che non potrà che essere il risultato di un compromesso diplomatico, se non militare, tra Turchia, Iran, Russia e Stati Uniti.

C’è in gioco, oltre la sorte delle persone, un delicato equilibrio geopolitico: qual è lo scenario?

Le intenzioni del governo di Damasco di riconquistare anche la provincia di Idlib, ultima sacca di forze ribelli, tra cui le forze qaediste di Hayat Tahrir al Sham, dove peraltro sono confluiti buona parte degli sfollati delle altre zone di operazione della Siria, si scontrano con le intenzioni di Ankara di prevenire, proprio in quell’area, la saldatura territoriale delle milizie curde dell’Ypg, che avrebbe potuto configurare la nascita di un’entità autonoma curda nel nord della Siria. Il paradosso che si sta consumando in queste ore è che se veramente il regime riuscisse a riconquistare la provincia di Idlib e la Siria orientale, dove stazionano circa 2000 militari statunitensi al fianco delle forze curde delle Sdf, diminuirebbero le ragioni di Ankara di mantenere una presenza militare nel Nord della Siria.

Ieri il presidente americano, Donald Trump, ha diffuso un inusuale monito, gettando una red line sull’operazione militare assadista: perché?

Il recente monito, rivolto nelle ultime ore da Trump nei confronti di Russia ed Iran potrebbe non essere un avvertimento limitato ad Idlib ma avere una portata più ampia. Secondo un recentissimo studio dell’Institute for the Study of War, dal mese di giugno, le forze governative insieme alle milizie sciite e la polizia militare russa si starebbero ammassando a ridosso dell’Eufrate e nella provincia di Deir Ez Zour, andando a controllare le principali infrastrutture e vie di comunicazione. È un consolidamento che, insieme alle forze di mobilitazione irachene (Pmf) lungo il confine tra Siria ed Iraq, sembra poter garantire a Damasco e ai suoi alleati la possibilità di esercitare maggiori pressioni nei confronti delle milizie curde e degli americani che si trovano nell’area nell’ambito della lotta allo Stato islamico. Se Damasco riuscisse a trovare un accordo sulle gestione dei giacimenti petroliferi oggi controllati dalle Sdf, gli Stati Uniti si troverebbero isolati anche di fronte ad una possibile escalation militare da non escludere a priori.

Dunque Trump cerca di usare la dissuasione retorica per uscire da una sorta di accerchiamento?

Gli Stati Uniti si trovano a dovere coordinare gli ultimi sforzi, assai ben più onerosi di quanto si pensi, contro le restanti milizie dell’Isis operanti in Siria e, al tempo stesso contenere l’influenza di Damasco e dell’Iran nella Siria orientale. Un impegno sul quale l’amministrazione Trump ha dato spesso segnali contraddittori, oscillando tra le dichiarazioni di ritiro annunciate a marzo da Trump, contrapposte alla cautela del capo del Pentagono, James Mattis, che, appena una settimana fa, ha dichiarato che i militari americani non andranno via dalla Siria orientale fino a quando l’ISIS non sarà sconfitto e il processo di pace avviato dall’Onu, attraverso i negoziati di Ginevra, non porterà ad un’uscita di scena di Assad.

Ma Assad sta per chiudere il cerchio e raggiungere la vittoria finale, con la riconquista di Idlib…

Esatto, quest’ultima è una considerazione che si scontra con la realtà del campo di battaglia, dove per altro la presenza statunitense è vista, da Mosca, Damasco e Teheran, come illegittima e che al tempo stesso rischia di continuare a provocare tensioni tra Washington e Ankara, relativamente al ruolo dei combattenti curdi, considerati dalla Turchia terroristi. Oggi il ministro della Difesa turco, Halusi Akar, ha ospitato il nuovo rappresentate americano per la crisi siriana, James Jeffrey, proprio per discutere gli sviluppi della situazione; mentre a Damasco Bashar el Assad ha ricevuto il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif.


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