Il 30 settembre il popolo macedone si recherà alle urne per un importante referendum. Nel Paese balcanico, finora riconosciuto da alcune nazioni come Fyrom (acronimo di Former Yugoslav Republic of Macedonia), si voterà per approvare la nuova definizione di Repubblica della Macedonia del nord in conformità all’intesa siglata a luglio con la Grecia, chiudendo una disputa di tre decenni con Atene.
L’appuntamento, tuttavia, non è solo carico di significati storici ma anche di ripercussioni politiche, perché una vittoria del “sì” aprirebbe la strada all’integrazione di Skopje nella Nato e all’inizio dei negoziati di adesione all’Ue. Fatti e scenari dell’evento analizzati in una conversazione di Formiche.net con l’ analista politico e strategico Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation.
Si avvicina il referendum nella Fyrom e si moltiplicano le dichiarazioni preoccupate per possibili interferenze straniere, in particolare russe. Lo ritiene verosimile?
Il più grosso nemico dei cosiddetti Western Balkans Six – di cui la Fyrom fa parte – non è né la Russia né il terrorismo, ma le mafie locali e i loro legami internazionali, nonché la fragile sostenibilità economica di questi Paesi. Tuttavia la Russia sa benissimo che la “partita” balcanica è persa, ma sta facendo di tutto per rimandare l’avvicinamento di Skopje al blocco occidentale e per rendere difficile la vita a europei e alleati Nato. Creare fake news e tweet per promuovere il boicottaggio del referendum costa poco e rende abbastanza. Ma l’influenza più pericolosa di Mosca non è online, ma nel tessuto economico. I finanziamenti occulti, ma anche gli investimenti in affari – la cosiddetta finanza ombra – ha raggiunto livelli decisionali impensabili e non solo nei Balcani, ma anche in Paesi insospettabili come quelli Baltici che pure sono apertamente anti-russi.
Come si è arrivati al referendum?
La Fyrom è stata per anni sotto un regime autoritario, benché eletto, guidato dall’allora primo ministro Nikola Gruevski. La popolazione ha cominciato a insorgere quando ha scoperto di essere oggetto di intercettazioni a tappeto e quando ha visto misure di perdono inaccettabili per scandali finanziari. Naturalmente, la Russia ha dato sostegno a Gruevski, peraltro in modo molto efficace. Quando le elezioni del 2016 hanno cominciato a spostare gli equilibri, Gruevski ha tentato un golpe bianco e da allora la Nato – presente nella regione con la missione Kfor – dopo un’attenta valutazione politica ha deciso di aumentare la sorveglianza della frontiera per evitare il passaggio di bande armate che avrebbero potuto creare ulteriori incidenti.
Poi c’è stata un’azione politica concertata della comunità internazionale per permettere la formazione di una nuova maggioranza e quindi di un nuovo governo. Le successive elezioni hanno fatto crollare i consensi al partito nazionalista di Gruevski, VMRO-DPMNE, in un certo senso la versione balcanica di un partito populista e sovranista. E questo ha aperto le porte al cambiamento.
Perché la disputa trentennale sul nome “Macedonia” sembra così difficile da risolvere?
Perché c’erano forze politiche come quella di Gruevski e potentati ai quali la situazione di tensione data da questa disputa faceva e fa comodo. Ora, con l’indebolimento di queste fazioni, vediamo che il problema era assolutamente risolvibile. In questo senso, il referendum è un atto politico indispensabile per mantenere il più possibile la coesione del Paese. Il partito di Gruevski ha già annunciato che darà battaglia facendone un voto di coscienza, ma da italiano non escludo che un voto di coscienza lasci una certa libertà agli elettori del suo stesso partito.
Perché l’appuntamento elettorale nella Fyrom è così importante?
Perché sta chiudendo una serie di conti in sospeso dalla fine della guerra jugoslava. La gestione della dissoluzione dell’ex Jugoslavia è, nonostante tutte le difficoltà incontrate, uno dei pochi sostanziali successi della comunità internazionale e quindi anche della Nato.
Per il sostenere il “sì” al referendum si sono mosse molte personalità: dal segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg all’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Federica Mogherini, passando per la cancelliera tedesca Angela Merkel e il segretario alla Difesa Usa James Mattis giunto oggi a Skopje. A cosa è dovuto questo dispiegamento di forze?
È tanto nell’interesse degli europei quanto della Nato arrivare in modo rapido, ma senza sconti sui requisiti d’ammissione, alla chiusura di questo dossier, anche perché dai Balcani passa una delle rotte migratorie più importanti. Costruire muri, invece, non ferma le mafie anzi le arricchisce.
Quali saranno gli effetti geopolitici del referendum?
Se la Fyrom deciderà di avvicinarsi a Nato e Ue sarà possibile non solo ridurre le manovre di disturbo russe, ma anche osservare con più attenzione un’influenza ben più forte ma meno discussa come quella della Cina. Di Pechino si parla molto poco, ma la sua presenza è molto forte sia nei Balcani sia in Europa centrale. Inoltre, se il referendum avrà un esito positivo, aiuterà a modificare le posizioni politiche serbe sulla questione del Kosovo, che non è un problema di scambio di territori ma di gestione responsabile dell’autonomia delle minoranze.