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L’amico spread. Perché non ci sarà un ‘Piano B’

recessione

In questi mesi di governo Lega-M5S abbiamo sentito di tutto (in realtà, soprattutto le cose che la maggioranza degli italiani volevano sentirsi dire) sui conti pubblici, sull’euro e sull’Europa: “prima la crescita, poi i vincoli”; “agli italiani non interessa nulla dello spread”; “rispetteremo i vincoli europei [su disavanzo e deficit]”; “nessuno ha intenzione di uscire dall’euro”; “faremo una manovra che include reddito di cittadinanza, flat tax e riforma della Fornero”. Il fatto che si tratti di affermazioni contraddittorie non sembra interessare granché, se il sostegno degli italiani al governo pare essere salito stabilmente al di sopra del 60%; nonostante qualche impennata dello spread, che segnala il nervosismo dei mercati finanziari internazionali, ma non impatta direttamente e immediatamente sulla percezione e sulle tasche dei cittadini-elettori.

Il punto interessante è proprio questo: se tali affermazioni fossero state fatte al di fuori del cappello dell’euro, gli italiani se ne sarebbero accorti subito. Il tasso di cambio della nuova-lira sarebbe schizzato alle stelle nei confronti delle valute dei principali partner commerciali, rendendo immediatamente più care le importazioni (in dollari e in euro) ed importando così, da subito, inflazione, che avrebbe impoverito il potere d’acquisto di salari e pensioni (denominati in nuove-lire). Le fughe di capitali sarebbero state arginate dalla Banca d’Italia con un rialzo vertiginoso dei tassi d’interesse, che (al contrario dello spread, il quale riguarda essenzialmente il debito pubblico) impattano immediatamente e direttamente sui tassi bancari, ai quali cittadini ed imprese si indebitano.

Il fatto che Salvini e Di Maio si possano sbizzarrire con affermazioni contradditorie è possibile, paradossalmente, a costi limitati (in termini di popolarità), proprio perché siamo nell’euro. Alla faccia dei ‘Piani B’…

Se avessimo abbandonato la moneta unica, gli italiani avrebbero subìto immediatamente e direttamente effetti devastanti. Che invece si sono tradotti (e probabilmente si tradurranno, quando sarà resa nota la manovra) semplicemente nell’innalzamento dello spread (i tassi sui rendimenti dei titoli di Stato ai quali il Tesoro è costretto ad indebitarsi per ottenere denaro fresco dai mercati). In questo modo aumenta il costo del servizio del debito, che naturalmente rende le future generazioni sempre più indebitate e quindi più povere, ma preserva l’equilibrio sociale (e soprattutto quello politico, delicatissimo) di breve periodo. Lo spread sta insomma salvando Salvini, Di Maio e l’intero governo da una sciagura ben peggiore, che rischierebbe di spazzarlo via.

Quindi tranquilli, non usciremo dall’euro. Perché uscire avrebbe un costo spropositato; non tanto per il paese, del quale non frega niente a nessuno nei palazzi romani, ma in termini di ritorno elettorale. Il duo dei (Vice-)Presidenti del Consiglio farebbe bene, invece che prendersela con lo spread e l’euro, ad incensarne l’esistenza, perché sono proprio l’euro e il famigerato spread che assorbono altri e più perniciosi effetti; sono loro che permettono ai due premier di rimanere saldamente al comando di questa nave allo sbando, senza che nessuno se ne accorga e scateni un ammutinamento.

In fondo, non è cambiato nulla in questi avvicendamenti politici degli ultimi trenta, quarant’anni: chi ne fa le spese saranno sempre le generazioni future; che oggi non votano e che prima o poi saranno chiamate a render conto delle scelte sciagurate di genitori, nonni, bis e trisavoli. Negli anni scorsi abbiamo pagato con riforme lacrime e sangue (ed era il momento più sbagliato per farlo) il consociativismo degli anni Settanta, le insostenibili promesse elettorali e clientelari degli anni Ottanta, e gli sciagurati sprechi degli anni Novanta. Tra un po’ di tempo rischiamo di dover pagare ancora più care le irresponsabili dichiarazioni e scelte politiche dei due leader acchiappa-consenso. Tanto, quando i nodi verranno al pettine, loro non ci saranno più. Forse…


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