Theresa May è nel bel mezzo dell’ennesima minaccia di tempesta. Il partito è in subbuglio, e non solo per gli scandali e il comportamento sopra le righe di Boris Johnson. I parlamentari non riescono a digerire il piano che il primo ministro ha partorito ai Checkers e c’è il serio rischio di un voto di sfiducia. Anche prima della conferenza del partito conservatore che si terrà alla fine del mese. Il Telegraph riporta addirittura che c’è qualcuno che alla riunione di partito abbia dichiarato espressamente, “se non vuole strappare il Checkers, temo che il partito butterà fuori lei”.
Alla riunione di martedì sera dell’European Research Group (Erg) oltre 50 parlamentari euroscettici, hanno discusso apertamente i tempi del voto capace di spodestare l’inquilina del numero 10. Tuttavia, May avrebbe bisogno solo di una maggioranza semplice per superare la sfida e Downing Street è sicura che i ribelli conservatori non hanno i numeri per farla cadere.
Intanto sembra più sicuro che prima del congresso del partito a Birmingham, i conservatori più duri e puri tenteranno di sfidare direttamente Theresa May pubblicando il loro personalissimo progetto “positivo” per una hard Brexit.
Sono iniziati quest’estate i lavori per un documento programmatico, che dovrebbe essere pubblicato a breve, e nel quale saranno delineati tutti i vantaggi per la Gran Bretagna nel lasciare l’Unione europea con i termini dell’Organizzazione mondiale del commercio, anche senza nessun accordo. Si prevede il sostegno di 60-80 deputati conservatori, il che aumenterà la pressione sul primo ministro.
Con il documento i conservatori inglesi intendono puntare ad un accordo di libero scambio in stile canadese, ma solo se l’Unione europea respingerà le richieste al di là del confine irlandese. Il che porterebbe il Regno Unito a non avere tariffe quando commercia con l’Ue, e il Paese non farebbe parte del mercato unico o dell’unione doganale.
La stesura del documento è stata fortemente voluta da Jacob Rees-Mogg, il presidente del gruppo di ricerca europeo dei parlamentari conservatori. E con i suoi cercherà di spiegare al meglio perché ritengono che non vi sia nulla da temere nel lasciare il blocco per le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) e perché, anzi, scorgono solo molte opportunità dall’aprire scambi commerciali con il resto del mondo, senza la politica commerciale dell’Ue. Anche perché, al contrario, il piano Brexit del primo ministro manterrebbe il Regno Unito strettamente legato a tutte le regole del blocco, il che significa che il Paese rimarrà, dal loro punto di vista, gravemente limitato nelle capacità di raggiungere nuovi accordi.
Il documento che sarà, nasce anche per respingere l’”isteria” della penuria di cibo e medicine che per tutta l’estate ha messo paura agli inglesi. E nel frattempo, proprio Rees Mogg al Telegraph ha voluto sottolineare che “gli economisti per il libero scambio hanno calcolato che un accordo dell’Omc comporterebbe un aumento dei 1,1 trilioni di sterline per l’economia nell’arco di 15 anni perché il commercio con i paesi dell’Omc è cresciuto quattro volte più velocemente del nostro commercio in termini di mercato unico. […] I prezzi scenderebbero dell’8% per alcuni articoli di base come cibo e calzature, il che significherebbe fornire il maggiore beneficio ai meno abbienti”. Dall’altro canto, però, i fedelissimi della May temono che una tale dimostrazione di forza avrà come unico risultato scoraggiare Bruxelles dall’impegnarsi seriamente con le proposte avanzate in questi mesi.
Il Times ad agosto, però, pubblicava un articolo dell’ex ministro del commercio e dell’industria dei governi Thatcher e Major, Peter Lilley, membro del Erg, che senza fronzoli evidenziava la validità di un accordo commerciale in stile canadese e, al contempo, asseriva che nessun accordo “sarebbe ancora meglio”.
Lord Lilley ha scritto che per due anni ha consigliato come comportarsi alle aziende prevedendo l’assenza di un accordo commerciale, alla fine dei giochi, tra Regno Unito e Ue. Nell’articolo pubblicato l’ex ministro ha voluto spiegare le quattro principali ragioni per cui converrebbe lasciare l’Ue con un no-deal. Al primo punto i benefici di poter aderire alle condizioni dell’Organizzazione mondiale del commercio: “i termini dell’Omc”, dice, “sono progettati per fornire una rete di sicurezza capace di garantire a tutti i membri la possibilità di commerciare senza discriminazioni”. Al secondo posto l’ex ministro ha messo l’opportunità di poter lasciare l’Ue senza pagare i 40 miliardi di sterline e di azzerare anche il contributo annuale di 10 miliardi di sterline, “aumentando il nostro Pil, la bilancia dei pagamenti e le finanze pubbliche”.
Al terzo punto, continua, Lord Lilley, “il no deal vorrebbe dire che le importazioni saranno nelle nostre mani e i camion carichi non faranno la fila per ore a Dover”. Inoltre “la non cooperazione ostile prevista dai Remainers non sarebbe solo impraticabile, ma illegale”.
“Sottovalutano seriamente il popolo britannico se pensano che con le minacce crolleremo, e figuriamoci se ci arrenderemo all’improbabilità di un evento che si materializza”, conclude l’ex ministro aggiungendo, come quarto punto, che una volta che Londra sarà libera dai vincoli dell’adesione all’Ue dell’articolo 50, potrà negoziare ad armi pari con Bruxelles.
Insomma se uno come Peter Lilley tifa per il no deal e fa il suo endorsement al progetto di Jacob Rees Mogg, ci sarà da aspettarsi molto rumore quando verrà pubblicata la visione alternativa al libro bianco del governo. E la May è la più preoccupata di tutti.