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I mercati e la manovra. L’Ue ha paura del contagio (e ci aiuta)

manovra

La linea di questa testata è, da settimane, che l’unico modo per tranquillizzare i mercati (ed i governi stranieri, nonché le istituzioni europee ed internazionali) consiste nell’anticipare al più presto l’aggiornamento del documento di Economia e Finanza (Def) e di chiarire obiettivi, strumenti e coperture della manovra di finanza pubblica a breve e medio termine. Da Shangai, dove era in missione, il ministro dell’Economia e delle Finanza, Giovanni Tria, ha commentato l’outlook di Fitch ed un rating che ci pone in compagnia della Bulgaria, della Colombia, dell’Indonesia e del Bahrain, affermando che tra breve arriveranno i fatti a smentire le fosche considerazioni di una delle primarie società di valutazione dei titoli emessi da Governi, grandi imprese e banche internazionale. Me lo auguro e confido che i fatti risponderanno esaurientemente ai dieci punti sollevati, su questa testata, dal collega ed amico Roberto Arditti.

Occorrono chiarimenti puntuali perché – pochi lo hanno notato- i Paesi fondatori, con noi, dell’Unione europea (Ue) stanno creando un cordone sanitario attorno a noi. Non è il cigno nero di cui parla il Ministro agli Affari Europei Paolo Savona ma qualcosa di più sottile. I Paesi i cui titoli di Stato hanno un rating Aaa temono il contagio da un Paese di grande dimensioni, seconda potenza industrial- manifatturiera dell’Ue il rating dei cui titoli di Stato minaccia di essere tra breve analogo a quello dei titoli della Federazione Russa e della Romania. Non siamo la piccola Grecia che può essere rimessa in piedi con qualche anno di commissariamento della politica economica ed un programma di aiuti.. Non siamo neanche tali da potere essere ‘cacciati’ dall’euro seguendo, se del caso, il ‘Piano B’ illustrato per anni da Antonio Maria Rinaldi, ora consulente del governo, agli studenti della Link University di Roma.

Siamo Too Big to Fail ma abbastanza grandi da causare contagio. Tanto da preoccupare il lontano American Enterprise Institute che ha organizzato per il tre ottobre un convegno internazionale a Washington a cui non è atteso nessun componente del Governo o dell’Ambasciata d’Italia. Il canale del contagio è il debito pubblico come ben illustra un lavoro del Cepr (il Discussion Paper DP13097) di cui sono autori Marco Battaglini Cornell University), Salvatore Nunnari (Università Bocconi) e Thomas Palfrey (California Institute of Techology).

La strategia, quindi, è quella del ‘cordone sanitario’: isolare l’Italia per impedirle di infettare gli altri nella speranza che il malato guarisca presto. Il presidente francese Emmanuel Macron lo dice apertamente e lo mostra con gesti eclatanti come la chiusura delle frontiera a Ventimiglia ed il netto rifiuto a trattative sui migranti. Più raffinato il governo federale tedesco (a cui il Benelux si accoda) : ha presentato al Bundestag un documento il 24 luglio scorso. E’ stato quasi ignorato in Italia, forse perché scritto nella lingua di Kant e Goethe. Non riguarda esplicitamente il nostro Paese ma (non tanto) implicitamente . A Via Venti Settembre dovrebbero studiarlo con cura;è di facile reperimento nella documentazione ufficiale. Il tema è come evitare che uno Stato dell’eurozona molto indebitato abbia un incidente durante un’operazione di rifinanziamento ed alla fine della storia paghi Pantalone (ossia l’operoso, produttivo e prammatico cittadino- contribuente d’oltre Reno).

In primo luogo, si risponde con forti NO ad alcune richieste fatte dallo stesso ministro italiano dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria, quali quella di scorporare, a fini contabili, la spesa per investimenti pubblici dalla regola per il disavanzo (la cosiddetta Golden Rule), In secondo luogo, ci si pone su posizioni nettamente contrapposte a quelle, oltre che di Tria, del ministro agli Affari Europei Paolo Savona in materia di determinanti che hanno portato al solido eccedente della bilancia commerciale tedesca;vengono citate serie storiche sulla produttività per dimostrare che chi è più produttivo esporta meglio e che chi non ha riorganizzato il proprio modo di lavorare e produrre quando è stata creata l’unione economica e monetaria non deve “fare la lagna” ma attuare le necessarie riforme. In terzo luogo, un’altra secca risposta alla richiesta di completamento dell’unione bancaria con una garanzia ‘comune’ ai conto correnti inferiori ai 100.000 euro: se ne riparlerà quando tutti i grandi Paesi Ue (a chi ci si riferisce?) avranno fatto pulizia dei loro non performing loans. Si potrebbe andare oltre ed è auspicabile che lo facciano (a fondo) a via Venti Settembre.

Il punto esplicito del cordone sanitario è l’estensione dell’accordo di Mesemberg tra Germania e Francia (19 giugno quando il governo Conte si era appena formato ed aveva fatto le prime dichiarazioni di politica economica) al resto dell’unione monetaria: “clausole di azione collettiva” nelle emissioni degli Stati membri: tali clausole (da sempre considerata anatema da un Paese dall’alto debito pubblico come l’Italia) imporrebbero una posizione unica ai creditori in caso di ristrutturazione del debito, di cui è responsabile “l’emittente e la sua politica di bilancio”. Le diplomazie economiche di Germania, Francia e Benelux si stanno adoperando perché altri Stati dell’unione monetaria, timorosi della politica economica italiana, si allineino sull’accordo di Mesemberg.

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