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Salvini, Di Maio, Tria e la dura legge dei numeri. Parla Marcello Messori

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È come il tiro alla fune, un po’ di qui e un po’ di lì. Ma alla fine da qualche parte bisogna andare, cercando nel frattempo di capire quale sia la direzione giusta. Niente di meglio di una metafora per descrivere il percorso di avvicinamento verso la manovra, che il Tesoro guidato da Giovanni Tria si appresta a scrivere, una volta approvato il Def. Agli atti c’è sicuramente da mettere la repentina discesa dello spread all’indomani del cambio di atteggiamento del governo gialloverde verso i vincoli di bilancio imposti dall’Ue, che nella logica legastellata prenderà corpo con una manovra di cambiamento, ma rispettosa dei parametri comunitari. Ma è davvero una strada percorribile?

TROPPA CARNE AL FUOCO

Anche Marcello Messori, economista e docente Luiss (qui una sua recente intervista) sa farsi due conti. Arrivando ad appurare, in un paper pubblicato su Luiss Open, che per non entrare in rotta di collisione con Bruxelles bisogna togliere qualcosa dalla prossima manovra, che si chiami flat tax, reddito di cittadinanza o Fornero. In altre parole qualcuno tra Luigi Di Maio o Matteo Salvini, è il retropensiero, deve fare un passo indietro e rinunciare a un pezzo dei propri sogni, almeno per il prossimo anno. Sembra impossibile, conoscendo la natura dei due vicepremier, ma è proprio così.

LA DURA LEGGE DEI NUMERI (SECONDO MESSORI)

Il motivo è presto detto: se si vuole stare dentro un rapporto deficit/pil all’1,6% non si può mettere troppa carne al fuoco. Perché l’1,6%? Perché secondo i calcoli di Messori è il tetto entro il quale è possibile immaginare una strategia sostenibile per una riduzione del debito pubblico. In pratica, se si fa tutto insieme (flat tax, reddito e Fornero) lo sforamento di soglia è garantita e si sfora tale valore il debito non scende. E allora sono dolori. Tanto per dare idea della distanza sui conti pubblici, l’ultimo aggiornamento del Def parla di un deficit Pil 2019 allo 0,8%, mentre il governo lavora per stare sotto il 3%. Il punto di caduta, dice Messori a Formiche.net, sarebbe l’1,6%, oltre non si può andare perché oltrepassato quel limite ogni sforzo per ridurre il debito diventa vano.

LA LISTA DELLA SPESA

Problema: la manovra gialloverde rischia di arrivare con disinvoltura a 30 miliardi di importo. Troppi per evitare di abbattere ogni frontiera del defcit. “Nel 2019”, dice Messori, “ai 12,4 miliardi di euro richiesti per evitare che scattino le clausole di salvaguardia e dunque l’aumento dell’Iva, occorre aggiungere almeno 5 miliardi di euro per iniziare ad applicare la quota 100 per la Fornero, almeno altri 6 miliardi per lanciare la prima fase del reddito di cittadinanza e altri 6-7 miliardi per la flat tax al 15%. Parliamo di circa 30 miliardi di euro di manovra ai quali aggiungere voci di spesa già impegnate, esborsi per le soluzioni dei casi Ilva, Alitalia e altre società private in difficoltà”.

QUESTIONE DI DEFICIT

Dunque c’è poco spazio per l’immaginazione, ancor meno di manovra. “Bisogna guardare in faccia la realtà, per avere ragionevoli possibilità che la Commissione europea riconosca all’Italia di perseguire una gestione sostenibile del proprio debito e che quindi non ci venga chiesta una correzione della manovra nella primavera del 2019, la legge di Bilancio dovrebbe fissare l’obiettivo di un rapporto deficit/pil che per il 2019 non sia troppo distante dall’1,5-1,6%. Questa è la condizione per tutelare la stabilità economica che è condizione necessaria per il benessere di noi cittadini”, spiega l’economista. “Purtroppo temo che senza un cambiamento drastico delle politiche dell’attuale governo, questo secondo impegno sia impossibile da assumere e  da realizzare”.

FLAT TAX, REDDITO E PENSIONI. QUALCUNO È DI TROPPO

Flat tax, reddito di cittadinanza e revisione della Fornero sono insomma troppo “e non si possono fare tutte assieme perché non ci sono i soldi in cassa e tutto andrebbe a svantaggio del deficit. Dico di più, non si può nemmeno fare come dice qualcuno ‘di tutto un poco’. L’unica via di uscita è una profonda revisione delle priorità del contratto di governo, affinchè ne venga rivista la sequenza. Non c’è scampo”. Secondo Messori “anche se si prevedesse per esempio di reperire 12,4 miliardi di euro facendo scattare le clausole Iva, magari salterebbero fuori risorse utili per questa o quella anima del governo ma ci rimetterebbe la crescita, cioè il denominatore del rapporto deficit/pil e allora sarebbe tutto vano. L’unico modo è rivedere dalle fondamenta il contratto e basta”.

IL NODO DELLA CRESCITA

Per la verità un modo per far quadare i conti ci sarebbe, ma almeno secondo Messori la cosa è quanto meno fuori luogo o se non  altro poco edificante per la seconda manifattura d’Europa. E cioè inserire nel Def da approvare entro settembre, previsioni di crescita ottimiste, più del dovuto. “Se si danno stime inverosimili sulla crescita allora si può fare tutto. Ma ha senso aspettarsi più di quanto si è previsto finora? Il pil non andrà oltre il 2,5% nominale (il valore reale però sarà intorno all’1%, ndr), solo aumentando tali stime si può giustificare un allentamento del deficit”.

SALVINI, DI MAIO E IL MIRACOLO DI TRIA

A questo punto è evidente come qualcuno debba rinunciare a qualcosa, a meno che non si voglia andare incontro a seri problemi con l’Europa. Ma chi? E come? “Bisogna che la coalizione trovi un punto di caduta. Fino ad oggi Lega e Cinque Stelle hanno portato avanti un atteggiamento per il quale nessuno vuole prevaricare l’altro e questo ha portato a dire che si può fare tutto e subito o peggio un pezzo di tutto. Ma così non va. Per questo penso che il ministro Tria dovrà essere abile a tenere il punto, anche se si tratta di un mezzo miracolo visto che sia Di Maio, sia Salvini difficilmente rinunceranno alle loro proposte. Però ce la deve fare, ne va della sostenibilità dei nostri conti”.

CERNOBBIO SOGNO O REALTÁ?

Un  ultimo pensiero Messori lo spende per Cernobbio, dal quale è uscita una sostanziale rassicurazione verso i vincoli europei. “Sì è vero, a parole sembra esserci stata una convergenza su questo 1,6%. Ora però il governo deve tirare fuori i numeri, finora non lo ha fatto”.


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