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Neuroscienze e “super poteri”. Il Pentagono per il soldato del futuro

Pentagono

Il modo in cui gli eserciti combattono le guerre sta cambiando e così anche le priorità della Darpa, concentrata non solo sull’intelligenza artificiale ma anche sul “potenziamento” di quella umana nel modo meno invasivo possibile. Per questo la Darpa, l’agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare che ha festeggiato la scorsa settimana i suoi primi sessant’anni, lavora a un’innovativa frontiera del campo delle neuroscienze che potrebbe fornire “speciali” abilità ai soldati.
Se fino ad ora i programmi di neuroscienza dell’agenzia si sono concentrati su tecnologie a supporto dei soldati tornati a casa con disabilità del corpo o del cervello – come la ricerca sugli arti protesici che sono collegati al sistema nervoso e impianti cerebrali che trattano il disturbo da stress post-traumatico – questa tendenza potrebbe cambiare nel prossimo futuro.

UN NUOVO MODO DI INTENDERE IL SOLDATO

In particolare, ha spiegato Al Emondi, direttore del più recente programma neurotech dell’agenzia, i combattenti hanno bisogno di nuovi modi per interfacciarsi e operare con le macchine. Il programma di nuova generazione Nonsurgical Neurotechnology (n3) finanzierà a questo scopo la ricerca su tecnologie che potrebbero trasmettere segnali al cervello senza l’utilizzo della chirurgia. Il programma è stato annunciato a marzo, ma ci si aspetta che parta nel 2019. Il progetto, in realtà, è molto più ampio: gli ingranaggi cerebrali che non necessitano di chirurgia e forniscono abilità speciali possono trovare applicazioni anche al di fuori del mondo militare. La tecnologia proof-of-concept elaborata dal programma n3 potrebbe portare alla nascita di nuovi prodotti di consumo, e di conseguenza a nuove realtà produttive.

IL PROGRAMMA N3

Il programma del Pentagono prevede due percorsi: uno per i ricercatori che sviluppano tecnologie non invasive e l’altro per coloro che lavorano su tecnologie “lievemente invasive”. Nel primo caso non si tratta di semplici elettrodi né di stimolazione transcranica in corrente continua – ovvero le classiche tecniche utilizzate negli ultimi decenni, bensì di nuovi modi per fornire una trasmissione davvero precisa. N3 punta, infatti, a una nuova tecnologia non invasiva in grado di eguagliare le alte prestazioni attualmente ottenute solo con gli elettrodi impiantati nel tessuto cerebrale (e quindi con un’interfaccia diretta con i neuroni). Il programma richiede che la tecnologia non invasiva sia in grado di leggere i segnali e scrivere informazioni in 1 cubo di millimetro di tessuto cerebrale e farlo entro 10 millisecondi. Per ottenere questa risoluzione spaziale e temporale – nonostante la barriera del cranio – Emondi afferma che i ricercatori dovranno trovare nuovi modi per rilevare l’attività neurale. Il percorso “minimamente” invasivo, invece, riguarda il contatto con il corpo attraverso iniezione, pillola o spray nasale.

LE PROSPETTIVE (ANCHE IN CYBER SECURITY)

Entro la fine del programma, di durata quadriennale, l’agenzia si aspetta che tutti i ricercatori siano pronti a dimostrare che la loro tecnologia può essere utile alla Difesa. Ad esempio, un dimostrante potrebbe usare i segnali cerebrali per pilotare un drone o per controllare un caccia attraverso un simulatore. L’immaginazione di Emondi va anche oltre: questa tecnologia, evidenzia, potrebbe in futuro permettere all’uomo di “entrare nella Rete” e percepire personalmente le intrusioni nei sistemi informatici.

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