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Lo Stato nell’economia può funzionare. A patto che… Parla Paganetto

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Immaginare un ritorno dello Stato in alcuni settori chiave dell’economia si può. Anche nel 2018, a oltre 20 anni dalla stagione delle grandi privatizzazioni industriali, che aprirono la strada alla progressiva dismissioni dell’Iri. Basta farlo con accortezza e senza manovre azzardate.

Un argomento ampiamente dibattuto pochi giorni fa nel corso di un convegno organizzato presso la Scuola nazionale dell’Amministrazione, alla quale hanno partecipato numerosi economisti (qui l’articolo con tutti i dettagli). Tra loro, Luigi Paganetto, presidente della Fondazione economia di Tor Vergata.

A Formiche.net Paganetto spiega perché parlare di ritorno dello Stato nell’economia, proprio mentre il governo gialloverde sembra aver imboccato tale strada, può avere un senso. “Il cambiamento che si sta producendo nel mondo è così ampio da non poter fare a menodell’intervento dello Stato attraverso la politica industriale. Stare sulle frontiere tecnologiche significa investire sulle reti, che erano ieri quelle ferroviare ed elettriche realizzate dallo Stato e possono essere oggi quelle delle telecomunicazioni e dei big data”, spiega Paganetto.

In questo senso “lo Stato azionista, che agisce con imprese partecipate o controllate, ma soggette al controllo del mercato può essere uno strumento molto efficace a condizione però che si eviti quello che è avvenuto per le concessioni autostradali, con la creazione di sovrapposizioni di interesse tra concessionario e concedente”. Secondo Paganetto insomma, uno Stato ben presente nell’economia può essere d’aiuto alla crescita, anche se a precise condizioni. E cioè che tali aziende siano sempre e comunque spinte a competere nel libero mercato nazionale e globale”.

Secondo l’economista e professore di Tor Vergata “quando i rischi che nascono da attività non strettamente legate alla logica di mercato sono evitati, la presenza dello Stato azionista può consentire una partecipazione ad un gioco competitivo che è sempre più globale e in cui i cosiddetti campioni nazionali possono assicurare una presenza decisiva come player dei settori con una maggiore dinamica in termini di innovazione”.

Un esempio? “Enel pur essendo stata a suo tempo nazionalizzata, è diventata un’azienda di cui lo Stato è rimasto azionista, ma anche partecipata dai privati. A quel punto è diventata una dei maggiori player internazionali. Grandi imprese private, come Fiat e Pirelli hanno viceversa perduto la loro leadership. Altre ancora come la Luxottica si sono affermate a livello internazionale. Non c’è dunque una dinamica certa, tranne quella delle difficoltà delle nostre piccole-medie imprese a crescere. In questo contesto una politica industriale che guardi al ruolo della dinamica dimensionale delle nostre imprese non può che giovare alla nostra economia”.

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