Un apprezzato teologo cattolico, Massimo Faggioli, evidentemente in sintonia con l’attuale magistero, circostanza che nel mondo cattolico non dovrebbe sorprendere, è oggetto di attenzione quotidiane da John Podhoretz, uno dei più influenti neoconservatori americani dai tempi dell’invasione irachena. Che lo ha anche paragonato al maresciallo Zhukov di sovietica memoria, per alcune osservazioni su certi vescovi non cattolici che sostengono la campagna contro Papa Francesco.
Un esercizio da parte di esponenti di altre Chiese che in effetti merita attenzione, se non si ritenesse l’attacco al papa opera di un singolo, al massimo coadiuvato da qualche amico, come fu anche al tempo di Vatileaks. Al tempo fu il maggiordomo di papa Benedetto, oggi un ex nunzio. Che l’ex nunzio attacchi papa Francesco lo dice lui stesso ed è noto. Ma coloro con cui si è accompagnato in occasione della sua ultima apparizione romana come la pensano? A maggio monsignor Viganò infatti era all’Angelicum, l’Università dei domenicani dove insegnavano mezzo secolo fa alcuni del collaboratori più stretti della Curia preconciliare che predisposero i documenti rigettati dai padri conciliari.
Proprio in quell’Università, nei mesi trascorsi, hanno avuto luogo convegni con i più fermi critici di Amoris Laetitia. E proprio lì monsignor Viganò è stato invitato con il cardinale Leo Burke da Roma Life Forum, una delle sigle più attive della destra cosiddetta pro-life americana. Il cardinale Burke invece, come è noto, è stato uno degli ideatori dei famosi “dubia”, che intendevano far correggere il papa sulla dottrina e su Amoris Laetitia. L’impressione che soprattutto in America, ma non solo lì, questo papato sia sgradito non solo all’ex nunzio ma anche a molti circoli importanti non appare infondata e l’arcivescovo che accusa era nunzio negli Stati Uniti, da dove l’arcivescovo di Philadelphia ha fruito di questi momenti per chiedere al papa di rinviare il sinodo sui giovani: perché i vescovi non hanno credibilità al riguardo.
La posizione è davvero insidiosa perché appare umile, ma forse lo sarebbe stata se fosse stata assunta quando è scoppiato il nuovo scandalo degli abusi in Pennsilvanya, non dopo la pubblicazione del memoriale Viganò che riguarda asserite punizioni segrete al cardinale McCarrick con le quali la credibilità dei vescovi non ha nulla a che fare. E invece l’opportunità del sinodo sui giovani può risultare evidente a tutti i cattolici (e non solo ad essi), ad esempio leggendo il quaderno dedicato proprio ai giovani e pubblicato in queste ore da La Civiltà Cattolica. L’approccio a questa discussione sta in una frase di Papa Francesco che indica che la giovinezza non esiste, esistono i giovani.
La questione odierna è così importante in America che il presidente Trump, al centro di attacchi alla sua persona dal suo ufficio, sa occuparsi del dolore che provoca lo scandalo pedofilia, per poi esternare sulla guida. Dunque la questione in America ha peso, come ha peso in Italia e in tutto il mondo. Davvero si può pensare che gli sviluppi di queste ore, con ipotetici elenchi di appartenenti a una da sempre indicata lobby gay che filtrano con i nomi oscurati, non vengano da ambienti connessi?
È il contesto quel che segna, che indica il carattere di attacco al pontificato, dall’interno ma evidentemente non solo. Si sa che proprio negli Stati Uniti si diffonde un vangelo tutto nuovo, per il quale povertà e malattia sono segni di un non amore di Dio. È la teologia della prosperità, molto forte anche in ambienti politici oggi autorevoli. Questa teologia indica una strada di salvezza personale, uscendo dalla povertà. Banalizzando, ma non troppo, qualcuno è arrivato a scrivere che la parola evangelica ci dice che chi dà un dollaro nelle mani giuste ne riceverà dieci, o cento. E così diventerà amato da Dio, cioè prospero.
Anche in Italia si cominciano a vedere segni di apprezzamento per questa teologia e questo accade proprio quando il confronto sulle nuove povertà e le ricette per curarle vede nel Vaticano e in Papa Francesco uno dei più solidi baluardi che tengono ferma la barra dell’avvicinarsi ai sofferenti, non del distanziarsene, per curare, risolvere. Avvicinarsi alle piaghe, alle ferite, alle difficoltà del nostro tempo, è tratto essenziale del Concilio Vaticano II, concilio pastorale, certo, ma io credo perché la pastorale è teologia, forse la vera.
All’interno e all’esterno della Chiesa, in un’epoca in cui all’identitarismo serve una dottrina identitaria, punitiva, per affermarsi contro una pastoralità universale, questa marcata conciliarità non può che causare problemi forse decisivi per una partita mondiale. Forse non è tutto qui, ma può aiutare cercare anche così le diverse tessere di un mosaico che mira, sotto le pulsioni che sempre creano la segretezza, la pedofilia e l’omosessualità ventilate, a scardinare l’universalità della Chiesa, per legittimare culture che guardano al rigore come puntello: i tasselli di un futuro illiberale, come sarebbe la democrazia cristiana di Orban.