Ci sono molti modi per elaborare una perdita, un lutto o una sconfitta. Uno di questi è la rimozione. A guardare gran parte delle discussioni delle sedicenti classi dirigenti del Pd la rimozione della sconfitta (o meglio delle sue ragioni) sembra prevalere. Sono state infatti settimane intense di interviste, tweet, post su Facebook tutte attorno ad argomenti che certamente non scaldano il cuore dell’opinione pubblica.
Bisogna infatti essere a distanza siderale dalla realtà per pensare che il problema della sinistra italiana sia una questione di nomi (che ne facciamo del brand Pd) o di prossimità o meno a Macron (o a chi per lui). Basterebbe mollare un po’ di arroganza tipica di chi si sente proprietario della verità e farsi un bagno di umiltà tra le persone comuni per capire che il problema del Pd è di tutt’altra natura. Per questo la svolta ‘pellegrina’ di Martina che sta portando il Pd di strada dalle periferie, ai luoghi del disagio, alle feste, fino alla convocazione di una manifestazione in piazza, è già un segnale confortante. Servono però passi in avanti, guardando cosa succede oltre il nostro giardino.
Appare infatti sempre più forte la componente conservatrice dei popolari europei che vuole un’alleanza organica con i nazionalisti, non solo nei singoli Stati, ma anche per guidare nel 2019 il prossimo Parlamento e la prossima Commissione europea. Non solo Visegrad insomma, d’altronde l’elezione di un ultra conservatore alla guida del Partito popolare spagnolo è l’ennesima conferma. Anche l’idea salviniana di costruire un unico contenitore di destra sotto la sua guida, che per ora chiameremo Lega Italia, va esattamente in questa direzione. Insomma la destra ha ripensato sé stessa in questi anni e si prepara a fare la destra, in Italia, in Europa e in tutte le democrazie liberali.
Se quindi la destra fa la destra, la sinistra deve fare la sinistra. Da questa lettura, e direi da questa nuova consapevolezza, dovrebbe ripartire la ricostruzione dei progressisti in Italia, innanzitutto avendo l’ambizione di riunire tutte le forze democratiche riformiste e popolari. Tocca però liberarsi di vecchi e nuovi totem, verso una nuova rotta, che potremmo sintetizzare con l’urgente desiderio di protezione che le persone comuni sentono incessantemente. Nei confronti della precarietà economica certo, ma soprattutto delle accelerazioni (e inevitabilmente delle ansie e delle paure derivanti) che la modernità ha portato nelle vite di ciascuno. E poiché risposte pronte per l’uso non ce ne sono e, se ci sono, sono drammaticamente sbagliate, bisogna accettare la sfida della ricerca, che, in quanto empirica, sarà soggetta a tentativi e a errori di percorso.
Non ho dati statistici, né analitici a riguardo, ma sono abbastanza convinto che questa ricerca, seppur imperfetta, sia molto più vicina al comune sentire dell’opinione pubblica, piuttosto che discussioni ombelicali su chi debbano essere o meno i riferimenti della sinistra italiana in Europa. Come diceva Montale, codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo