Per essere chiaro lo è: la partita sulle pensioni sarà quella più difficile per il governo gialloverde, alle prese in questi giorni con la scrittura del Def (da varare entro il 27 del mese) il quale a sua volta costituirà l’ossatura della prima legge di Bilancio legastellata. I conti ancora non tornano e al netto degli spot, il dubbio è sempre quello: attaccare frontalmente la legge Fornero, che oggi regola il nostro sistema pensionistico, oppure studiare una strategia di logoramento con cui anestetizzare nel giro di due-tre manovre, gli effetti della riforma risalente al governo Monti?
Il punto di partenza è che andare in pensione a 62 anni e con una contribuziuone di 38 anni (la cosidetta quota 100) può costare a regime fino a 10 miliardi di euro. Ai quali vanno sommati 8 miliardi per il reddito di cittadinanza, altri 8 per la flat tax e 12,4 per disinnescare l’Iva (promessa ribadita nei giorni scorsi a ribadire). Due conti veloci per capire che si tratti di una manovra da quasi 40 miliardi, decisamente incompatibile con l’impegno preso dal ministro dell’Economia Giovanni Tria (e ribadito oggi sul Corriere della Sera), di mantenere un deficit all’1,6% del Pil.
Naturale quindi porsi il problema di trovare una terza via per trovare quei fondi necessari ad aprire il cantiere pensioni. Nel week end una proposta è arrivata da Alberto Brambilla, economista a capo del Centro Studi Itinerari Previdenziali molto vicino alla Lega sul tema della previdenza. L’idea per aggredire la Fornero è questa: chiedere alle imprese un contributo aggiuntivo dello 0,3% da applicare sulle risorse che aziende e soprattutto banche, oggi stanzioano per i fondi esuberi e solidarietà. Quei veicoli cioè con cui affrontare eventuali crisi industriali senza troppi traumi sulla forza lavoro.
Domanda: la strada indicata da Brambilla è un buon modo per provare ad aprire una breccia nel sistema pensionistico attuale? E poi, è davvero possibile scardinare la Fornero senza sballare i conti? Formiche.net ha chiesto il parere di tre economisti. Secondo Davide Giacalone per esempio, “il ragionamento di Brambilla ci può stare, perché è ovvio che se devi trovare dieci miliardi e riesci a ottenere nuove entrate allora il costo per lo Stato diminuisce. Specialmente se tale coste va a carico delle imprese. Ma è proprio questo il punto, si tratta di andare a togliere dei soldi alle imprese, in un momento estremamente delicato per la crescita”.
Qualcuno però potrebbe obiettare che anticipando l’età pensionabile le aziende avrebbero una leva in più per assumere. “Vero, ma facciamoci una domanda. Quante imprese oggi sono disposte ad assumere? Poche, e le altre? Infatti chi può dirsi favorevole a questa ipotesi sono solo le imprese che non assumono sulle quali il contributo non pesa eccessivamente. Io credo che sulle pensioni sia in atto un tentativo di salvare la faccia, dire ‘ecco abbiamo smontato la Fornero’. Ma la verità da raccontare è un’altra. E cioè che non ci sono i soldi per fare tutto questo, perché con un deficit all’1,6% la coperta è corta”.
Viene da cheidersi che cosa faranno Lega e Cinque Stelle una volta che si saranno resi conto che non si può fare tutto e subito. “Semplice, il M5S sarà costretto ad abbozzare e accontentarsi di un barlume di reddito di cittadinanza, altrimenti va a casa se si mette male con lo spread. La Lega no, può permettersi di andare allo scontro tanto sa che vince le elezioni, quindi può andare anche in rotta con l’Ue. Chi ne esce rafforzato è sicuramente Tria, perché i numeri al momento danno ragione alla sua visione prudente”. Alla fine, per Giacalone, il conto della manovra è presto fatto. “Rimarrà solo l’Iva, da bloccare e poco altro, assicurato”.
Un’analisi della situazione pensioni è arrivata anche da Maurizio Sacconi, ex presidente della commissione Lavoro al Senato ed ex ministro del Welfare e presidente della Fondazione Amici Marco Biagi. “Credo che sarà molto difficile far accettare alle imprese un aggravio dei costi. Anche perché si tratterebbe di un vantaggio per pochi ma frutto di uno svantaggio generale, per tutte le imprese. Che poi da parte loro già investono in formazione per esempio. Detto questo, e al netto della nobile intenzione, io per cinque anni in Parlamento mi sono battuto per evere delle agevolazioni in grado di accompagnare l’uscita dal mondo del lavoro. Ma francamente dubito che oggi lo si possa fare andando a pesare ulteriormente sulle spalle delle aziende”.
Qualche dubbio sulla possibilità di un attacco massiccio alla legge Fornero c’è anche per Antonio Maria Rinaldi. “Sarebbe bene fare i conti. Questa manovra parte non da zero ma da -12,4 miliardi, i soldi cioè necessari per evitare l’aumento dell’Iva. Molto più verosimilmente si andrà a scaglioni, ma dipenderà da quanto riuscirà ad ottenere sul deficit. Impossibile smontare un sistema pensionistico in modo totale adesso”.