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Perché gli Usa (e non solo) vogliono tagliare i fondi all’Unrwa

L’amministrazione Trump ha deciso di tagliare i finanziamenti all’Unrwa (UN Relief and Works Agency), creata nel 1949 a seguito del primo conflitto arabo-israeliano per assistere i “rifugiati di Palestina”. Negli anni successivi questa definizione ha assunto un significato proprio nell’ambito delle Nazioni Unite, intendendo solo i rifugiati arabi che tra il 1948 e 1949 avevano anche solo stabile domicilio nell’area di conflitto e i loro discendenti.

Gli Stati Uniti contestano all’Unrwa il conteggio dei profughi palestinesi, che ammonta oggi a 5 milioni. Secondo l’Unrwa infatti hanno diritto allo status di “rifugiato palestinese” anche i discendenti degli allora rifugiati arabi (espulsi o scappati) in seguito al conflitto. Inoltre, la decisione dell’amministrazione americana sarebbe una risposta alla “politica ostile” dell’Anp verso gli Usa.

Le condanne alla decisione sono varie. Il direttore esecutivo dell’Olp, Saleh Raafat, ha accusato gli Stati Uniti di lavorare per Israele “con un gruppo di sionisti” per cancellare la causa palestinese – come riportato dal quotidiano al-Hayyat al-Jadida. Lo stesso giornale riporta anche il discorso di Saeb Erekat (segretario del Comitato Esecutivo dell’Olp) a una delegazione parlamentare cilena in visita a Ramallah, che avrebbe accusato gli Usa di liquidare il diritto al ritorno dei profughi tagliando il budget all’Unrwa.

Secondo gli Usa e Israele l’agenzia Onu non apporta beneficio alla pace. La sua esistenza non fa che protrarre l’esistenza di profughi, sollevando gli Stati “ospitanti” dalle loro attuali responsabilità. Solo la Giordania ha assorbito i profughi naturalizzandoli, mentre in Paesi come il Libano, i campi profughi palestinesi sono cittadine auto-regolamentate, cui né l’esercito libanese né alcuna altra autorità ha accesso. I beneficiari dei servizi Unrwa non sono mai stati naturalizzati in Libano e virtualmente non hanno alcun diritto, potendo operare nello Stato solo tramite prestanomi. In Siria (prima dell’inizio della guerra) i palestinesi potevano avere (almeno formalmente) più di un esercizio commerciale, ma con numerose limitazioni sui diritti di proprietà (compreso il divieto di acquistare terreni agricoli). In Egitto ai palestinesi è negato l’accesso a determinate istituzioni di educazione superiore e a certi tipi di lavoro. Nell’Iraq post-Saddam, i palestinesi sono stati spogliati dei diritti che Saddam Hussein aveva loro riconosciuto, essendo anche stati oggetto di violenza settaria. Kuwait e Libia hanno la responsabilità di aver espulso i propri residenti palestinesi negli anni ’90 per contrarietà alle scelte politiche di Arafat (l’appoggio a Saddam e la decisione di trattare con Israele).

Non sorprende che sia ora proprio il Libano ad aver iniziato presso la Lega Araba una campagna di raccolta fondi per l’Unrwa, in modo da scongiurare la possibile scelta tra naturalizzazione o espulsione di quegli stessi palestinesi che hanno avuto un ruolo centrale nella guerra civile.

Dai rapporti di bilancio dell’Unrwa appare però che gli Usa non siano i soli ad aver tagliato i fondi.

Nel 2017 gli Stati Uniti hanno versato un terzo del bilancio totale Unrwa, costituendo il primo finanziatore (così da sempre), seguito da Europa (che ha garantito il 12% del budget), Germania, Uk, Svezia e Arabia Saudita. Nel 2016, la stessa Arabia Saudita aveva versato 148 milioni di dollari, diminuiti a 53 milioni nel 2017. La Islamic Development Bank dona 40 milioni nel 2015, e cessa i finanziamenti per i due anni successivi. La Banca Mondiale anche cessa i minimi contributi dopo il 2015. Nel 2014 anche la municipalità di Milano partecipa alle donazioni, senza poi versare altro denaro negli anni successivi. Il Libano, che ospita diversi campi profughi, ha tagliato i fondi del 40% dal 2014. Il Qatar li ha dimezzati dal 2014 al 2017. L’Italia sembra essere tra i pochi Paesi che negli anni hanno aumentato i propri contributi, posizionandosi nel 2017 nella top 20 dei Paesi donatori al quattordicesimo posto.

Se il Commissario generale Unrwa Pierre Krähenbühl sostiene che ci sia in gioco la “dignità di 5 milioni di palestinesi”, beneficiari dei servizi, vi sono molte altre critiche mosse all’organizzazione che non ha preso in considerazione le richieste di riforma strutturale avanzate sin da prima dell’ultimo rinnovo del mandato nel 2014 – tra cui una richiesta di riforma nella gestione generale visto che il bilancio è da anni ormai in rosso.

L’Unrwa opera in Libano, Siria, Giordania, West Bank e Striscia di Gaza. Non è chiaro perché ci siano operazioni in Giordania, dove i palestinesi sono cittadini, mentre in Iraq o Egitto (che non hanno naturalizzato i palestinesi) non ospitino sedi Unrwa. Allo stesso modo non si capisce come sia possibile che operi proprio sui territori amministrati dall’Anp (West Bank) o da Hamas (Striscia di Gaza), costituendo una struttura di servizi parallela e disincentivando l’amministrazione palestinese a gestire gli affari della popolazione.

Tra gli altri aspetti ancor più gravi ci sono i rapporti non chiari con Hamas o Jihad Islamico, e i valori educativi cui si ispirano le scuole gestite dall’Unrwa.

L’Agenzia non richiede uno status di non-affiliazione con organizzazioni terroristiche perché ha formalmente un mandato umanitario. Ma la gestione di servizi per 1,3 milioni di persone su 1,9 milioni di abitanti totali a Gaza non è un mero mandato umanitario: l’Unrwa costruisce case, concede finanziamenti per l’avvio di imprese e micro-imprese, dà lavoro a circa 23mila locali (contrariamente alle altre agenzie Onu), gestisce scuole e fondi pensione per i propri dipendenti locali. Nel 2009 l’allora Commissario Generale Unrwa Peter Hansen in un’intervista alla rete canadese CBC aveva detto “sono sicuro che ci sono membri di Hamas nel libro paga dell’Unrwa e non vedo perché sia un crimine”. Proprio dal 2009 sono stati condotti una serie di studi sugli operativi delle organizzazioni terroristiche e le scuole dell’agenzia. Vari rapporti, compreso uno studio comprensivo del gruppo UN Watch del 2017, hanno messo in luce come nelle scuole Unrwa a Gaza, in Libano, in Siria e in Giordania operino insegnanti che promuovono la glorificazione di Hitler, dell’assassinio di ebrei, di attentati terroristici e di posizioni negazioniste dell’Olocausto. L’agenzia Onu non ha mai condannato né la retorica né l’ideologia delle organizzazioni islamiste. Nel 2013 un video mostrava un maestro Unrwa in un campo estivo che insegnava a bambini palestinesi di come saranno liberate Haifa, Nazaret e Acco definendo gli ebrei dei “lupi”.

“L’Unrwa non cesserà di esistere finché esisterà il problema dei profughi palestinesi”, è la frase dell’agenzia, che però “esiste affinché non si risolva il problema dei profughi”, rispondono i critici. I servizi offerti dall’Unrwa dovrebbero essere offerti dagli Stati ospitanti e tanto più se nei territori amministrati dall’Anp. Non c’è motivo perché gli Stati ospitanti non debbano naturalizzare quegli stessi discendenti dei “profughi del 1948”, lasciandoli vivere come residenti di categoria C. Non c’è motivo per cui l’Anp non debba prendersi cura di quegli stessi palestinesi che dovrebbero essere cittadini dello Stato di Palestina che Ramallah aspira di essere o diventare.

Il motivo della discordia è il diritto al ritorno, che è il pilastro ideologico dell’educazione e del sentore sociale nelle cittadine sviluppate dai campi profughi del 1949, simboleggiati anche dalle grandi chiavi raffigurate in murales e sculture alle porte delle cittadine. Il diritto al ritorno prevederebbe il rientro dei primi profughi e dei loro discendenti nell’attuale Israele: un diritto discutibile da un punto di vista giuridico e inaccettabile da parte di Israele che vuole continuare a esistere come Stato ebraico, ma senza diritto al ritorno non c’è accordo di pace, sostiene l’amministrazione palestinese.

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