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Ecco perché l’accordo tra Vaticano e Cina è epocale. L’analisi di Riccardo Cristiano

Il mondo cambia velocemente, ma pensare che il Vaticano riuscisse a indurre il governo della Cina comunista a distinguere partito e religione, potere spirituale e potere politico, è un fatto dai risvolti epocali, per la Cina, per i cattolici cinesi, per il mondo.

Questo disgelo, dalle forme ancora provvisorie ma che potrebbe allargare l’area del dialogo bilaterale al di là della delicatissima attuazione delle intese sulla nomina del vescovi e del riconoscimento del papa come capo della chiesa cattolica cinese, conduce in porto una linea perseguita da decenni, che ha avuto nel 2007 un anno decisivo: a gennaio la commissione vaticana per la Cina annunciava che “quasi tutti i vescovi e sacerdoti sono in comunione con Roma “ e pochi mesi dopo Benedetto XVI nella sua lettera ai vescovi, sacerdoti e fedeli cinesi scriveva che la soluzione dei problemi non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime autorità civili.

L’accordo provvisorio tra Vaticano e Cina arriva in un momento in cui molte altre autorità civili sembrano perseguire un’altra strada, tentando di indurre al patriottismo le loro chiese. L’accordo quindi si pone in una prospettiva di controtendenza globale ed ha il valore che indica il fatto che già ieri la prestigiosa università dei gesuiti americani, la Georgetown University e la rivista Civiltà Cattolica hanno annunciato l’avvio del “China Forum per il dialogo di civiltà”, una piattaforma aperta all’incontro tra intellettuali cinesi e non per discutere di sfide comuni tra cultura, tecnologia e società globale. Un fatto enorme, le cui conseguenze sono difficili da valutare e comprendere oggi. Anche per questo il cardinale Zen, arcivescovo emerito- cioè in pensione- di Hong Kong e capofila degli oppositori del dialogo, ha diramato proprio nelle ore precedenti l’annuncio dell’intesa l’ultimo attacco, un’intervista contenete la richiesta di dimissioni dell’architetto dell’intesa, il segretario di stato cardinale Pietro Parolin. “Lui crede nella diplomazia, non è un uomo di fede”, l’ultimo assalto che merita di essere sottolineato per due motivi: il cardinale Zen non guida più la diocesi di Hong Kong, il titolo per esprimersi a nome della diocesi sull’intesa lo ha il suo successore. Molto importante poi è l’idea relativa al rapporto tra fede e diplomazia, che rimanda a uno scontro con le legittime autorità civili abbandonato dai tempi di Benedetto XVI. Un’impostazione che contrasta più che con la diplomazia con la scelta di dare priorità al bene dei cattolici cinesi e alla necessità di annunciare il Vangelo in Cina. Un annuncio che, ha scritto in queste ore padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, “ deve essere pienamente cinese, andando a fondo nel processo di inculturazione, alla luce dell’universalità proprio del cattolicesimo. Dunque: pienamente cinese e pianamente cattolico.”

Le parole del cardinale Zen indicano infine la rilevanza del ruolo svolto dal segretario di stato, famoso per il successo dei suoi negoziati in Vietnam e anche per i colloqui con le autorità cinesi che portarono ai miglioramenti registrati nel 2007: dunque viene prima l’avversione per la natura del regime o l’urgenza di migliorare la qualità della vita religiosa cattolica cinese ed esplorare strade nuove? Un aspetto non irrilevante e non ipotetico, visto che già oggi il Vaticano ha potuto annunciare la costituzione nella Cina Continentale della diocesi di Chengde, suffraganea di Beijing, con sede episcopale nella chiesa cattedrale di Gesù Buon Pastore, sita nella Divisione Amministrativa di Shuangluan.

La Cina che sa di non essere più autosufficiente si apre al mondo pur desiderando di modificarlo a sua immagine, il punto di partenza però è un cambiamento non certo da poco, visto che accetta di separare politica e religione. Capire chi e quanto modificherà chi è la grande posta in gioco, importantissima per salvare tutti e non solo un’ideologia.



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