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Ecco i pezzi mancanti al puzzle di Salvini sull’immigrazione

Tunisia

Nel febbraio scorso il Financial Times pubblicò una pagina sul timore di nuove primavere arabe in Tunisia e Algeria a causa della crisi economica in diverse aree di quelle nazioni. Proteste e manifestazioni di piazza sono frequenti. E’ dunque comprensibile che molti tunisini cerchino migliore fortuna in Italia e nello stesso tempo è giusto che, trattandosi di migranti economici, vengano rimpatriati grazie all’accordo in atto. Da molti giorni, però, il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ripete nelle dichiarazioni ai telegiornali che non capisce come mai ne arrivino tanti visto che in Tunisia non ci sono né la peste bubbonica né la carestia: per farli partire basta molto meno, a meno che non sia un indiretto messaggio alle autorità di Tunisi perché aumentino i controlli.

Fatto sta che, dopo aver spiegato fino alla serata del 14 settembre che il rimpatrio dei 184 tunisini arrivati nei giorni scorsi a Lampedusa sarebbe stato questione di ore grazie a charter speciali, il giorno successivo il Viminale ha fatto sapere che invece il rimpatrio comincerà lunedì 17 e secondo le attuali procedure previsto dall’accordo bilaterale: due voli settimanali per un totale di 80 migranti che comportano complessivamente anche 160 agenti di polizia ogni 7 giorni, due per ogni rimpatriato. La Tunisia, infatti, ha rifiutato di riprenderseli tutti insieme perché vuole capire meglio le intenzioni di Salvini nell’incontro previsto per martedì 18. Il ministro dell’Interno intende trovare un accordo per aumentare numero di voli (disponibilità di aerei permettendo) e di migranti da rimpatriare e forse prometterà un aiuto per il controllo delle coste. Nel frattempo, le autorità tunisine nei giorni scorsi hanno arrestato 15 persone che stavano per imbarcarsi verso l’Italia e salvato dal naufragio altre 25 che erano dirette verso le nostre coste.

Su 3.515 tunisini rintracciati in Italia dall’inizio dell’anno, ne sono stati complessivamente rimpatriati 1.633: con quelli respinti alla frontiera e quelli riammessi nei paesi di provenienza si raggiunge quota 1.812. Invece i tunisini sbarcati dall’inizio dell’anno sono 4.220, al primo posto tra le nazionalità, seguiti da 3.027 eritrei. Intanto si vedono i primi effetti della circolare del Viminale sull’asilo: i permessi di soggiorno concessi ai richiedenti asilo per protezione umanitaria sono calati del 30 per cento: dal 5 luglio al 31 agosto sono stati concessi 2.759 permessi, il 19 per cento del totale, a fronte dei 3.085 (il 28 per cento del totale) dello stesso periodo dell’anno scorso. In aumento invece il totale delle domande esaminate e concluse, passate da 11.170 a 14.367 grazie all’aumento del personale. La protezione umanitaria si concede quando ricorrono “seri motivi” di carattere umanitario nei casi in cui non sussistono i requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale. Dopo i due anni iniziali di solito viene sempre ampliata. Lo status di rifugiato si ottiene dimostrando invece un fondato timore di subire nel proprio Paese una persecuzione personale in base alla Convenzione di Ginevra. La protezione sussidiaria, infine, presuppone il rischio di subire un danno grave se chi la richiede tornasse nel Paese di origine. Una stretta sui permessi era probabilmente indispensabile anche se ora rende ancora più urgente la stipula di altri accordi di riammissione perché la negazione della protezione umanitaria aumenta il numero degli irregolari da rimpatriare.

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