Sembra che la maggioranza di governo sia in fibrillazione per le risorse da assegnare al “reddito di cittadinanza”. Temiamo che pensare alle risorse da assegnare al “reddito di cittadinanza” sia prematuro, perché, in via preliminare, vanno create le condizioni organizzative per poterlo erogare. L’operazione non è semplice e richiede tempo, molto tempo, certamente più di un anno.
Per realizzare il “reddito di cittadinanza” si dovrebbe, innanzi tutto, definire bene che cosa si intende con tale espressione. Qui va di sfuggita notato che l’Italia manca di un sistema generalizzato di assistenza al bisognoso. Esistono vari strumenti scoordinati e poco finanziati. L’aiuto al soggetto debole viene di fatto lasciata alla libera iniziativa dei Comuni e alla tradizione della famiglia allargata. Per non parlare della confusione normativa, dove l’assistenza sociale è stata per la prima volta regolata dalla Legge quadro 329 del 2000 (che conferiva la competenza alle Regioni che l’avrebbero dovuta realizzare nell’ambito della citata legge quadro 329/2000), quando nel 2001, la riforma costituzionale del titolo V della Costituzione ha svuotato di ogni pratico significato la citata legge 329/2000.
Sembra di capire, dalle dichiarazioni rilasciate dal ministro Di Maio, che per “reddito di cittadinanza” si intenda uno strumento che dovrebbe impedire a chi non ha reddito di starsene allungato sul divano del salotto mentre riceve una sorta di indennità di disoccupazione. Sembra, quindi, di capire che dovrebbe trattarsi di strumenti miranti a “riattivare la capacità sociale” dell’utente. Se così fosse, sarebbe una iniziativa lodevole, visto che oggi i vari aiuti si limitano nella maggioranza dei casi a contributi finanziari episodici, miranti a tamponare l’immediato bisogno e non a riattivare l’utente.
Qualunque sia la scelta di modello di assistenza che si intende attivare (flexsecurity, SMIG, ecc.), una tappa obbligatoria è quella di facilitare l’incontro di domanda e offerta di lavoro. Questo problema presenta due aspetti: da una parte fare in modo che sul mercato siano disponibili le professionalità necessarie al sistema produttivo e che la concreta disponibilità di posti di lavoro si incroci in tempo reale con la richiesta di occupazione da parte di coloro che non vorrei chiamare disoccupasti ma cercatori d’impiego.
Quando si parla della riforma degli uffici per l’impiego si fa riferimento a questa problematica senza, temo, rendersi conto di che cosa questo implichi. Per poter realizzare l’incontro della domanda e offerta di lavoro bisogna realizzare le seguenti pre-condizioni: (a) realizzare una griglia di profili professionali su cui il datore di lavoro possa identificare la posizione che cerca di ricoprire e sulla quale il cercatore di impiego possa trovare la sua identificazione; (b) formare una parte del personale dei centri per l’impiego a valutare correttamente il job che il datore di lavoro vuole riempire (fare la job description); (c) formare una ulteriore componente del personale dei centri per l’impiego a fare il bilancio delle competenze dei cercatori di impiego.
Quindi: da una parte si deve creare la griglia delle professionalità e garantirne il costante aggiornamento, non tanto per inserire nuove professioni (l’emergere di nuove professioni avviene molto raramente) quanto per aggiornare il contenuto delle professioni esistenti; da un’altra parte bisogna formare il personale. Due operazioni non banali e non realizzabili in tempi brevi.
La griglia delle professioni. Questa griglia deve essere elaborata in collaborazione tra i datori di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori. Alcune Regioni Italiane agli inizi di questo secolo si sono impegnate nell’esercizio di individuare questa griglia, non tanto per favori l’incontro di domanda e offerta di lavoro quanto per disegnare i corsi formativi finanziati dal Fondo Sociale Europeo. L’esercizio è però stato fatto male. Anziché coinvolgere direttamente i datori di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori nella individuazione e definizione dei profili, l’iniziativa è stata presa dalle burocrazie regionali che si sono talvolta avvalse del supporto di ditte di consulenza molto discutibili. Non solo i profili sono disegnati in maniera poco credibile, ancora meno credibili sono le procedure adottate per validare le competenze dei cercatori di impiego. Sopra le alpi, dove questo metodo è consolidato da secoli, la validazione delle competenze viene realizzata da operatori (fornai, programmatori, elettricisti, analisti biologici ecc.) che sono stati appositamente formati alla validazione delle competenze. Le Regioni italiane hanno optato per la creazione di figure di valutatori generalisti, di solito psicologi e sociologi.
Il risultato è che sia le griglie professionali che la validazione delle competenze non vengono riconosciute dal mercato del lavoro e sono quindi un esercizio vuoto e inutile. Va qui segnalato che le varie Regioni, avendo subdorato l’orientamento politico generale, hanno messo in piedi un marchingegno per rendere le varie griglie regionali comparabili. Anche questo è un esercizio vuoto e inutile.
Per poter attivare il reddito di cittadinanza”, qualunque cosa questo voglia dire, bisogna, in via preliminare, (a) definire le griglie professionali, (b) formare gli esperti in bilancio delle competenze, (c) formare gli esperti di job description. Per avere un’idea di che cosa si deve fare, si suggerisce al lettore di andare a consultare il sito www.orientamento.ch, il sito svizzero che presenta il sistema germanico di incontro di domanda e offerta di lavoro, declinato in italiano.
In assenza di queste operazioni preliminari, lunghe e laboriose, destinare anche solo 300 milioni di euro al reddito di cittadinanza non sarebbe solo inutile ma contribuirebbe a rendere ancora più confusa la situazione esistente.
Vale qui rammentare una regola elementare che si insegna all’università nelle lauree triennali. Una qualunque iniziativa di ristrutturazione amministrativa deve passare attraverso le seguenti 4 tappe: (1) descrizione della situazione esistente, (2) valutazione della situazione esistente, (3) definizione del modello che si vuol realizzare, (4) individuazione delle tappe di passaggio dalla situazione esistente a quella che si vuol realizzare.