Chi riteneva Matteo Salvini una sorta di barbaro è stato già costretto a ricredersi o, comunque, lo sarà. La verità è che non siamo di fronte ad una reincarnazione di Odoacre, per riprendere lo schema proposto da Giovanni Orsina su Il Foglio di qualche settimana fa. Né, tanto meno, del capo degli ostrogoti, come ricordava Paolo Mieli. Quel Teodorico che, con uno stratagemma, dopo il lungo assedio di Ravenna, convinse il suo rivale a festeggiare la fine delle ostilità, in una cena che per Odoacre fu anche l’ultima. Il Capo della Lega, o semplicemente il “Capo”, è oggi l’unico politico italiano a non avere rivali.
Non li ha nel centrodestra, nonostante i mugugni del relativo ceto politico. Non li ha nel centrosinistra, lacerato dalle proprie interne contraddizioni. A fargli ombra resta solo Luigi Di Maio. Ma è un’ombra lieve che si proietta sul fronte opposto agli interessi politici della Lega. Che non impensierisce, ma che addirittura può tornare utile. Specie se nel mondo dei 5 Stelle la componente di sinistra, oggi con scarsa voce in capitolo, dovesse alzare la testa, favorendo il ritorno del Dibba (Alessandro Di Battista) dal suo lungo viaggio di formazione. Nemmeno fossimo al tempo di Goethe ed il Sud America una semplice appendice dell’Italia o della Grecia.
I successi che sono alle spalle del Capo della Lega non possono essere disconosciuti, se si conserva un minimo di obiettività. Si è caricato sulle spalle un partito che, dopo gli scandali collegati alla passata stagione, sembrava ormai destinato a scomparire. Da uno “zoccolo duro”, pari al 4 per cento dell’elettorato, lo ha portato al 17 per cento, conquistando la leadership del centrodestra. Una strategia vincente, costruita giorno dopo giorno. Con un continuo stop and go, nei confronti di Forza Italia, che ne conservava il primato. Ma che durante tutto il periodo della campagna elettorale, Salvini ha sempre messo in discussione, fino a costringere alla resa lo stesso Silvio Berlusconi. La leadership sarà di quella forza politica che, alla fine, avrà preso più voti.
Una prima vittoria. Quindi la complessa trattativa per redistribuire il dividendo della campagna elettorale. Decidere di non pretendere alcuna carica istituzionale per la Lega, ma di consentire che i 5 Stelle e Forza Italia potessero indicare i rispettivi presidenti di Camera e Senato. Lasciando ai primi la completa disponibilità nella scelta del nome, ma pretendendo, con successo, che il Presidente del Senato fosse sì una personalità di Forza Italia, ma gradita alla Lega. Come si vede una tattica che, alla fine, si è dimostrata vincente. Un titolo di merito nell’esercizio della leadership.
Non meno complessa è stata la trattativa per la formazione del governo. Durante questa fase si sono susseguiti momenti drammatici, in cui tutto sembrava sul punto di naufragare, per poi ricomporsi nel necessario successivo compromesso. Paolo Savona, come ministro in pectore per l’economia, che incontra l’ostilità di Sergio Mattarella. Il lungo braccio di ferro con la Presidenza della Repubblica, con Carlo Cottarelli, incaricato di costruire, nell’ombra, una squadra di governo alternativa, destinata a portare il Paese a nuove elezioni. Mentre crolla la borsa e gli spread sui titoli italiani raggiungono i 300 punti base. Il compromesso, ad un centimetro dal precipizio, consente a Paolo Savona, di rimanere ministro e contribuire alla nomina di Giovanni Tria a ministro dell’economia. Ma tutto ciò sarebbe stato inutile se Matteo Salvini, come capo delegazione della Lega, non avesse avuto la pazienza di assecondare la manovra.
Tratti che ritroviamo alla fine della luna di miele di questo governo. Che marca un altro paradosso. Cresce, almeno stando ai sondaggi, il consenso del corpo elettorale nei confronti del governo (60-70% degli intervistati). Quando, in genere – basta vedere la Francia di Macron o l’America di Trump – si verifica il contrario. Risultato ottenuto soprattutto grazie alla Lega: che dal 17 per cento dei voti raggiunge il 32 per cento dei sondaggi, mentre i 5 Stelle perdono circa 5 punti rispetto ai risultati elettorali. Lega, quindi, che diventa l’azionista di riferimento, in grado di far valere le proprie prerogative.
Questi quindi sono i fatti: più forti di ogni elucubrazione. Pochi i provvedimenti assunti. In compenso è stata molto alta la comunicazione politica. Tanto da essere considerata da alcuni osservatori eccessiva sia per i toni che per i contenuti delle relative proposte. Ma il punto è proprio questo. Lega e 5 Stelle hanno intercettato il malessere profondo della società italiana, che ha portato alla caduta del vecchio establishment. Quel malessere alimentato sia dalle condizioni economiche sociali di gran parte della popolazione italiana, ma soprattutto dalla sensazione che i propri rappresentanti politici si fossero ormai adagiati. Incapaci di reagire di fronte ai diktat europei, sballottolati dalla pressione dei flussi migratori, inadempienti di fronte alle richieste di una maggiore sicurezza, proveniente da tutti i settori della società italiana. Che quella loro presenza si fosse, per così dire, cristallizzata in una retorica non più pedagogica. Ma solo prodotta ad uso e consumo di interessi altrui. La Germania di Angela Merkel, i francesi o la Commissione di Juncker.
Sintonizzarsi con questo retroterra è stato il primo obiettivo di Salvini. Cosa che spiega una comunicazione debordante e, a volte, anche eccessiva. Spesso anche malata, secondo il giudizio dei benpensanti. Dove tuttavia quei toni non erano il frutto dell’improvvisazione. Ma la chiave per mantenere un’empatia con quel mondo che le altre forze politiche avevano, da tempo, abbandonato. Era, in altre parole, la continua legittimazione della leadership, da molti scambiata (per propria incapacità) per una semplice continuazione della campagna elettorale.
La svolta, anch’essa inevitabile, è avvenuta nel momento del passaggio dalla semplice comunicazione alla concretezza delle scelte effettive di politica economica. Dove i toni sono divenuti più morbidi e responsabili, ma non segnano un ritorno al passato. Anche in questo caso, la scelta, è stata comunicata in modo trasparente, nel considerare l’orizzonte dell’intera legislatura, all’interno del quale diluire i contenuti del contratto di governo. Strategia, per la verità, indicata fin dall’inizio, ma solo ora divenuta oggetto di una comunicazione più puntuale ed impegnativa. Una completa smentita, come nel caso dei vaccini? Come si è affrettata a sostenere parte dell’opposizione. In parte: sì. Ma per chi conosce la moderna storia italiana sa bene che la “doppiezza” è stata sempre la grande risorsa della politica. Per rendere organico il rapporto tra popolo e leadership.