Non è iniziato nel migliore dei modi l’incontro di Matteo Salvini con i giornalisti. I cronisti nella calca si spintonano a vicenda, parte qualche insulto di troppo. “Siete incivili, me ne vado” dice il ministro dell’Interno, e lo fa per davvero. Salvo farsi trovare in sala stampa pochi minuti dopo, e giù la corsa di microfoni, telecamere, taccuini. È il segno di un Forum Ambrosetti più politico del solito. Pieno fino all’orlo di ospiti internazionali di livello, luminari, banchieri. Ma è la politica italiana la vera protagonista. Salvini prende la parola e torna a parlare di magistratura. Lo fa con tono di scherno, ma senza gli eccessi del giorno prima, quando ha scartato in diretta facebook la lettera della procura di Palermo che notifica lele indagi a suo carico per il caso Diciotti. “Aspetto con curiosità le sentenze che mi riguardano, sono disponibile ad andare a Palermo a piedi per spiegare. Che io sia un sequestratore fa sorridere molti ma non sono al di sopra della legge e se lo sono ne trarrò le conseguenze”. Ha dormito bene e si è svegliato anche meglio, dice: “Non c’è nessun golpe giudiziario, c’è un’inchiesta giudiziaria, io spero che i giudici facciano bene. Di sicuro non mi tolgono il sonno. Vado avanti a lavorare”. Poi ancora caso Diciotti: “Io avrei sequestrato centinaia di persone in fuga dalla guerra che nei tre quarti dei casi sono già sparite. Erano così sotto sequestro e bisognosi di aiuto che hanno pensato bene di far perdere le loro tracce”.
MAGISTRATURA E CINQUE STELLE
Come spiegare all’alleato di governo e ministro della Giustizia Alfonso Bonafede le stilettate contro i magistrati “che non sono eletti da nessuno”? Può convivere la guerra di Salvini alle toghe con l’idea di giustizia che fa da sfondo al movimento di Luigi Di Maio, sempre pronto a incoronare e applaudire pm e magistrati? “Non piacciono i modi ai Cinque Stelle? Sapete quante cose non piacciono a me dalla mattina alla sera, capita”, taglia corto il ministro. Che non nasconde qualche dubbio sui provvedimenti cari ai suoi “amici” pentastellati. Il decreto anticorruzione, per dirne una. Il vicepremier dice di condividerlo “in gran parte”. Ma poi precisa: “Non vorrei che ci fossero 60 milioni di ostaggi in Italia in base a sospetti e presunzione in assenza di prove. L’economia italiana merita di essere tutelata e protetta, non indagata a prescindere”. Di Maio lo rimbrotta un’ora più tardi, con una diretta Facebook: “Salvini non deve attaccare i magistrati, perché quei magistrati sono gli stessi che arrestano i corrotti, gli scafisti e i mafiosi, e si rispettano anche quando ci indagano”.
LA MANOVRA E LA FRECCIATINA SUL TAP
Legge Fornero, pace fiscale, reddito cittadinanza. Per Salvini nella legge di bilancio c’è spazio per tutto. Senza violare i limiti europei. “Tutte le mattine mi sveglio e prima di salutare i miei figli controllo lo spread”, ha scherzato il titolare del Viminale. La parola d’ordine sarà la crescita, contro le politiche di austerity che negli ultimi anni “hanno aumentato il debito pubblico di 253 miliardi di euro”. Crescita, non decrescita, felice o meno che sia, ha rincarato Salvini lanciando una frecciatina agli alleati di governo. “Non ho mai conosciuto nessuno che sia felice di decrescere, i nostri figli non aspettano dai loro padri una manovra di decrescita”. Per questo la legge di bilancio non potrà ignorare gli investimenti nelle infrastrutture critiche, a cominciare dal settore energetico. E qui il riferimento al Tap, il gasdotto che unisce la Puglia ai giacimenti in Azerbaijan tanto inviso ai Cinque Stelle, è piuttosto esplicito: “La politica del Mediterraneo è una politica energetica, non possiamo permetterci di perdere treni che non passano più”.
LA LIBIA E IL NORD AFRICA
A Cernobbio c’è stato spazio anche per un breve cenno alla crisi libica, arrestata temporaneamente grazie al cessate il fuoco ottenuto dall’Onu a Tripoli fra le forze governative e i ribelli della Settima brigata. Inutile dirlo, nel mirino di Salvini c’è ancora una volta il suo nemico dichiarato in Europa: Emmanuel Macron. “Parliamo con tutti, con i francesi c’è difficoltà, ci sono interessi economici contrastanti, specie sull’approccio alla crisi libica”. “Qualcuno ha interesse a esacerbare la crisi per inserirsi in settori redditizi” – ha continuato il segretario leghista – “le aziende italiane fatturano 4 miliardi di euro perché sono brave, non meritano di fallire perché qualcuno getta benzina sul fuoco”. L’Italia rimane a Tripoli, e così le sue aziende. Un auspicio che il presidente di Eni Emma Marcegaglia ha espresso da Cernobbio ai nostri microfoni.
IN AFRICA, CON I CINESI
È ormai una costante, ne ha fatto un biglietto da visita. Non c’è intervista in cui Salvini non parli di un grande piano di investimenti in Africa. È l’evoluzione dell'”aiutiamoli a casa loro”, ma con i soldi dell’Unione Europea. Che fino ad oggi – spiega il ministro – sono stati troppo pochi: “Con i 500 milioni di euro dell’Ue ci fai poco e niente”. Quale il modello da seguire? Salvini non ha dubbi: la Cina di Xi, che ha da poco annunciato un piano di investimenti in Africa da 80 miliardi di dollari. “Mi piacerebbe che l’Italia – senza velleità imperialistiche – facesse parte di questo business, c’è bisogno di un piano italiano per l’Africa”. Investire nello sviluppo di questi Paesi è l’unico modo per controllare l’esplosione demografica che in sessant’anni porterà la popolazione africana a superare quella cinese. “O l’Ue e il Mediterraneo si danno una direzione diversa, oppure nel 2100 al Forum Ambrosetti i nostri nipoti parleranno lingue e culture diverse”.