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Cara Europa, vogliamo una Ue più forte ed equa. Firmato Paolo Savona

savona

L’Italia scende in campo per ridisegnare l’architettura europea, troppo distante dalle esigenze di reddito e welfare dei cittadini e troppo poco strutturata per reggere alla concorrenza globale. E lo fa per bocca del primo alfiere della necessità di ridiscutere l’Ue dal profondo, il ministro per gli Affari Europei, Paolo Savona. Il quale ha inviato a Bruxelles un documento, Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa, propedeutico ad aprire finalmente una vera discussione a livello comunitario. Documento che Formiche.net è in grado di anticipare. Questi i temi affrontati: l’architettura istituzionale della politica monetaria, l’architettura istituzionale della politica fiscale, la conformazione da questa assunta e le regole della competizione anche in realzione agli aiuti di Stato.

Questa poi in sintesi la proposta di Savona: “Il governo italiano assumerà tutte le iniziative utili per dare vita a un gruppo di lavoro ad alto livello, composto dai rappresentanti degli Stati membri, del parlamento e della commissione, che esamini la rispondenza dell’architettura istituzionale europea vigente e della politica economica con gli obiettivi di crescita nella stabilità e di piena occupazione esplicitamente previsti nei Trattati. Il gruppo di lavoro ha lo scopo di sottoporre al Consiglio europeo, prima delle prossime elezioni, suggerimenti utili a perseguire il bene comune, la politeia che manca al futuro dell’Unione e alla coesione tra gli Stati membri”. Insomma, un’Europa più al servizio dei propri cittadini e più orientata a una crescita economica senza la quale il destino è segnato. Una proposta che arriva in un momento di fortissima crisi per l’Unione, che sulla crisi migratoria, ma non solo, ha mostrato tutta la sua fragilità.

RISCRIVERE MAASTRICHT

Punto primo, la necessità di rivedere gli accordi di Maastricht. “Il governo italiano intende trovare una forma di collaborazione con i 27 Stati membri per studiare e risolvere le debolezze istituzionali e politiche che si riflettono in un saggio di crescita reale permanentemente inferiore al resto del mondo sviluppato, con sacche territoriali elevate di disoccupazione”, si legge nel documento. “Nell’ultimo biennio si è registrata una modesta ripresa produttiva, con l’inflazione sempre sotto controllo, ma la crescita reale dell’Unione continua ad essere più bassa del resto del mondo. Essa è il risultato soprattutto dell’iniziativa privata sostenuta da una politica monetaria generosa nelle quantità e nei tassi e dell’attuazione di riforme che hanno migliorato l’efficienza generale dei sistemi economici nazionali, ma non ha inciso in modo significativo sulla disoccupazione, soprattutto nelle aree geografiche in difficoltà, creando malessere sociale e incidendo sugli equilibri politici nazionali. Una diffusa valutazione è che nell’Ue vi sia stata e tuttora vi sia una carenza di politica della domanda aggregata, legata alla decisione presa a Maastricht di lasciare la politica fiscale nella piena responsabilità degli Stati membri”.

NUOVI ACCORDI PER NUOVA CRESCITA

Dunque, qualcosa non funziona nel profondo dell’Unione. Che cosa? Semplice, “la posizione dell’Italia è che la politica economica debba essere orientata alla crescita, concentrando le iniziative dove necessario secondo un approccio comune, anche apportando correzioni all’architettura istituzionale europea. In breve, non limitarsi alla fissazione di regole di governance, ossia a un tipico approccio tecnico al problema, ma orientarsi verso un approccio politico, ossia una politeia, una visione concordata per il perseguimento del bene comune europeo”. E dunque, scrive Savona nel documento, “per una nuova politica economica basta rendere espliciti gli strumenti da attivare per raggiungere gli obiettivi indicati nei Trattati esistenti, mentre per le modifiche di architettura istituzionale occorrono nuovi accordi, anche se più difficili da attuare. Si inizi quindi dalle prime e le seconde verranno di conseguenza”.

ISTITUZIONI (POCO) COESE

Volendo sconfinare per un attimo sul piano istituzionale, il corto circuito si rischia anche nel parlamento europeo, il quale “è privo di iniziativa legislativa e opera da co-legislatore del consiglio dei capi di Stato e di governo per le proposte avanzate dalla commissione. Perciò la definizione dei modi-strumenti non tiene sempre conto dei problemi e delle urgenze nascenti dalle vicende interne ed esterne vissute dall’Unione, ma dagli equilibri politici vigenti nel momento in cui essi vengono decisi. Questo dà luogo a incertezze nell’efficacia della mediazione svolta dal Parlamento e dal Consiglio e, talvolta, all’insorgere di necessità che richiedono successive, ulteriori, mediazioni politiche, causando tempi decisionali non coincidenti con la moderna dinamica degli eventi”.

UN FISCO AL SERVIZIO DEL REDDITO

Detto dei trattati, detto delle istituzioni lontane tra loro e anche dalle persone, l’altra sfida è quella fiscale. Scrive Savona in merito: “Occorre soprattutto affrontare l’inversione della funzione di comportamento tipica della politica fiscale, quella di essere al servizio della crescita del reddito e dell’occupazione, mentre ha finito con l’essere subordinata all’istanza della stabilità monetaria; sono ancora pressanti le richieste affinché si approfondisca questo orientamento, come testimonia la richiesta di dare vita a un ministro europeo per il coordinamento delle politiche fiscali nazionali in funzione del buon funzionamento dell’euro e come garanzia dell’attuazione delle riforme richieste”.

IL RISCHIO SFIDUCIA

Tutte queste crepe hanno ovviamente un prezzo e anche alto. “I motivi del mancato raggiungimento di un saggio di crescita reale comparabile con quello del resto del mondo sono stati oggetto di continue dispute teoriche e pratiche che si collocano ai due estremi: quello dell’insufficiente applicazione della politica delle riforme (o dell’offerta) e quello dell’assenza di una politica della domanda. La prima interpretazione riceve più consensi da parte dei gruppi dirigenti”. In altre parole “la teoria economica e l’evidenza empirica non sono in condizione di dirimere la vertenza. Procedendo in direzione della prevalenza della politica dell’offerta l’Ue non sarebbe in condizione di invertire la tendenza alla perdita di consenso presso gli elettori, rischiando di arrivare alle elezioni europee del 2019 nella situazione in cui si è trovata l’Italia con le elezioni del 4 marzo, inducendo i votanti a negare l’utilità di procedere verso l’unione politica”.

INVESTIRE E ANCORA INVESTIRE

Una penultima considerazione riguarda gli investimenti, vero motore dello sviluppo e della crescita. Anche qui l’Ue latita, nonostante l’ambizioso Piano Juncker. “Lo strumento principale di una politica della domanda coerente con quella dell’offerta a livello Ue è quella degli investimenti infrastrutturali di interesse comune. Lo stesso vale per gli investimenti di interesse nazionale”, scrive Savona. “Se l’Ue non intende, né può decidere a causa di vincoli politici, una guida fattiva di questi investimenti debbono farlo tempestivamente i Paesi membri, nella speranza che lo facciano tenendo conto dei bisogni comuni. In taluni casi, anche per gli investimenti si impone l’applicazione del principio di sussidiarietà previsto dal Trattato. L’attuazione a livello nazionale di una politica fiscale centrata sugli investimenti richiede tre condizioni: primo, un’esatta conoscenza dei moltiplicatori della spesa di questo tipo, secondo, una diversa considerazione temporale dei due parametri fiscali e terzo, una diversa registrazione contabile rispetto a quella vigente”.

L’EUROPA SECONDO SAVONA

La conclusione è una sola: “Che una definizione di una politica fiscale attiva a livello europeo, coerente con quelle dei paesi membri, è assolutamente indispensabile. La strada maestra sarebbe passare dal completamento dell’unione politica e la ridefinizione dell’architettura istituzionale dell’Unione europea. Tuttavia, i tempi impongono un’azione immediata che non approfondisca i vincoli, ma accresca le opportunità. Se per rispettare il livello e i precari equilibri del bilancio europeo non possono essere dedicate risorse per affrontare i problemi della piena occupazione e dell’emigrazione la loro soluzione risulta affetta da aporia, irrisolvibilità del problema, e antinomia, impossibilità di disfarsene, divenendo causa di disgregazione dell’Ue”.



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