“Accolgo la nomina con fede, so che è un compito gravoso ma confido di poterlo portare avanti nell’ambito del disegno di comunione che il Signore ha sulla Chiesa. Mi metto nel ruolo che mi ha affidato in corrispondenza della chiamata che viene dal Papa: è il Signore che mi chiama attraverso il Santo Padre”.
Le prime parole del nuovo segretario generale, monsignor Stefano Russo, indicano che nel momento di grande delicatezza che sta vivendo la Chiesa, la scelta di colui che è chiamato a guidare la macchina dei vescovi italiani è caduta su un uomo che pensa al servizio, e che quindi potrebbe mettere la sua esperienza decennale nella Conferenza Episcopale Italiana al servizio di quella riforma necessaria e complessa, per la quale serve proprio quella “comunione” della quale ha immediatamente parlato. Nei corridoi della Cei pochi si aspettavano la sua nomina, erano altri i nomi più ricorrenti. Ma di lui è difficile non sentir confermare qualità, competenza, rigore, vista anche la lunga esperienza maturata.
La sua posizione di vescovo di Fabriano-Matelica rende evidente però che la riforma più difficile, la nomina di un prete e non di un vescovo, come accade in tante altre Conferenze Episcopali, non è arrivata. Forse i tempi per questo in Italia non sono ancora maturi. La vicinanza al movimento dei Focolari spiega il richiamo immediato, e molto apprezzato, alla comunione: le origini invece, è nato ad Ascoli Piceno, come il cardinale Petrocchi, arcivescovo dell’Aquila, parlano poi di un’attenzione al servizio per la ricostruzione nelle aree terremotate, con scrupolo e dedizione per le comunità e per gli stessi beni culturali, e l’architetto arrivato al sacerdozio dopo la laurea in architettura per molti le ha assicurate.
Il cardinale Bassetti potrebbe dunque aver trovato un uomo esperto dei meccanismi interni alla complessa macchina che presiede per affiancarlo, un uomo non anziano come altri nomi circolati negli ambienti della Conferenza Episcopale Italiana, ma soprattutto non legato alle cordate che in Cei hanno pesato troppo, come in tanti epicentri del potere. Chi fino all’ultimo ha tentato di confermare la logica delle influenze, delle cordate, dei rapporti privilegiati, non ha avuto ragione, anzi, si può dire che ha avuto torto. La Cei dunque, dopo la lunga stagione passata alla storia come la stagione dei progetti culturali, prova a trovare con Gualtiero Bassetti e Stefano Russo una sintonia con il pontificato di Francesco, che come è noto è fatto di pastoralità, di servizio: che anche in Italia arrivi la stagione del post-clericalismo, la stagione della Chiesa in uscita, Chiesa-ospedale da campo, è complesso per la storia più o meno recente e per la delicatezza del momento. Ma il tentativo andava fatto e sembra che la coppia Bergoglio-Bassetti, messa alla prova dei fatti, abbia trovato il modo di offrire una risposta convincente puntando su un classe ‘61, quindi un giovane, esperto, e soprattutto, per chi lo conosce, “umile”. Non era facile tenendo conto delle paure che derivano dal momento che si vive, e delle aspettative legate al passato. Se davvero la scelta effettuata va nel segno indicato lo diranno i fatti, ma pochi oggi sembrano temere che si sia persa un’occasione.