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Le manovre sulla manovra (con tutti i rischi) spiegate da Maurizio Bernardo

Si fa presto a gettare acqua sul fuoco e a dire che non c’è nessun problema e che tutto va bene. Invece il problema c’è. La guerra dei numeri tra il Movimento Cinque Stelle e il Tesoro che sta avvelenando, e nemmeno poco, il cammino verso il Def e dunque verso la manovra. Si chiede più di quello che si possa dare, nello specifico di spostare l’asticella del deficit dall’1,6% al 2,5% del Pil. Troppo, soprattutto per un uomo prudente quale è Giovanni Tria.

LA FIDUCIA DEL MERCATO

La posta in gioco è alta, forse troppo per buttare tutto alle ortiche. Lo si è capito anche oggi, quando Bankitalia ha diffuso i dati sulla bilancia dei pagamenti dai quali è emersa una lieta sorpresa. Dopo aver ridotto drasticamente la loro esposizione in titoli di Stato italiani per un controvalore di 58 miliardi di euro (tra maggio e giugno) a luglio gli investitori esteri sono tornati timidamente a riposizionarsi sul debito pubblico italiano. Dal bollettino risulta infatti che gli investitori hanno messo in atto acquisti netti di obbligazioni italiane per un controvalore di 13,5 miliardi di euro. Di questi 8,7 miliardi fanno riferimento a titoli di debito pubblico, ovvero Btp. La fiducia insomma c’è (nonostante lo spread sia risalito a 230 punti base nelle ultime ore) e per questo non va intaccata.

UN GIOCO PERICOLOSO

Un gioco al massacro decisamente pericoloso anche per chi le finanze italiane le conosce bene. Uno come Maurizio Bernardo, ex deputato dem, per cinque anni alla guida della commissione Finanze della Camera, che a Formiche.net fornisce un’analisi pacata della situazione, senza fuochi d’artificio e per questo lucida. C’è qualcosa di profondamente errato alla radice del rapporto tra Tesoro e compagine di governo, sponda M5S. “Facciamo una premessa di carattere per così dire storico. Non è mai stato facile dialogare tra chi sta al Mef e chi governa. Al Tesoro devono fare i conti e li devono far quadrare, punto”, chiarisce Bernardo prima di entrare nel merito della questione.

ATTENTI, LO SPREAD CI ASCOLTA

“Detto questo, i toni alti di questi giorni preoccupano e nemmeno poco. Perché il rischio, quello vero, è la destabilizzazione del Paese con tutte le conseguenze che vi sono. Quando il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giorgetti (Giancarlo, ndr) paventava i rischi di una tempesta sui mercati, diceva bene. Siamo a rischio, dobbiamo stare attenti a quello che diciamo e che comunichiamo. Lo spread è lì, pronto a punirci”. A questo punto viene da chiedersi se davvero Tria possa riuscire nella missione, indubbiamente difficile, di trovare un punto di caduta con Di Maio.

TRIA E LA LEGA: COSÌ VICINI, COSÌ LONTANI

“Guardi, diciamo una verità, sfatiamo un mito. La cosiddetta linea Tria, quella del rigore e del deficit all’1,6% non è poi così tanto diversa da quella della Lega perché a guardare le conseguenze di un’eccessiva disinvoltura sul deficit mi vengono in mente le imprese, che con lo spread in rialzo finirebbero per pagare molto di più il denaro che le banche gli prestano. Ma la base della Lega è tutta lì. Salvini sa benissimo che non può spalleggiare troppo la linea del M5S perché c’è di mezzo il suo bacino elettorale che potrebbe ritrovarsi in balìa di una reazione dei mercati forte, violenta”.

UN SOLO VINCITORE (E NON È DI MAIO)

Bernardo ha pochi dubbi sul vincitore della partita. “Vincerà Tria, ne sono quasi sicuro. Il messaggio che deve passare è questo. Il ministero dell’Economia sta elaborando numeri ben calibrati, frutto della realtà della finanza pubblica italiana. Di conseguenza, si debbono cambiare le priorità del contratto, quasi a voler immaginare un passo indietro della politica. Il reddito di cittadinanza non serve a molto, dare soldi per starsene a casa francamente è un qualcosa che non sta nè in cielo nè in terra. Sono favorevole invece a una pace fiscale, purché rappresenti davvero una forma di incoraggiamento per le imprese. Poi ci sono le tasse ma… mettiamocelo bene in testa le tasse oggi in Italia mi pare molto difficile abbassarle. Rimodularle sì, abbassarle proprio no”.

NEGOZI CHIUSI? INVESTITORI ADDIO

Il colloquio con Bernardo si è aperto dando conto della ritrovata fiducia degli investitori verso l’Italia. Verissimo, ma proprio per questo occorre stare doppiamente attenti ai messaggi che la politica passa al mercato. E non c’è solo lo spread. “Facciamo l’esempio delle domeniche coi negozi chiusi. La politica gialloverde si è detta propensa a fare questo tipo di scelta? Ok, io le dico che l’incertezza fa dei danni enormi: mi spiego, molti grandi fondi esteri hanno investito nella grande distribuzione italiana, pianificando investimenti e assunzioni. Ecco, molti di loro sono già pronti a rivedere le proprie scelte in caso di chiusura domenicale dei negozi. Capisce che cosa significa?”.



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