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Perché investire sulla Difesa europea (evitando i tagli a livello nazionale)

difesa

È fondamentale investire in ricerca e sviluppo per la Difesa comune europea, l’Ue e la Nato devono collaborare anche se parlano ancora linguaggi diversi, l’Italia ha eccellenze industriali e l’interesse ad aumentare l’export e l’occupazione, grandi speranze sono riposte nel Fondo europeo per la Difesa e, alla fine di tutto, l’obiettivo è proteggere di più i cittadini. Si è volato alto nel convegno su “Ricerca e sviluppo per una comune Difesa europea”, nell’ambito del Festival della diplomazia e organizzato in collaborazione con il Cesi, il Centro studi internazionali, nel quale, però, è stata la politica a essere poco chiara perché i due rappresentanti del Movimento 5 Stelle nel volare alto anch’essi non hanno dissipato i dubbi sulle reali strategie perseguite: il capogruppo del M5S alla Camera, Francesco D’Uva, per esempio ha sostenuto la necessità di investire in ricerca e sviluppo “per la vita di tutti i giorni”, inducendo chi ascoltava a pensare a un uso delle Forze armate sempre più in ambito civile, l’ormai famoso “dual use”. Ma forse il cronista ha capito male.

Eppure Andrea Margelletti, presidente del Cesi, era stato chiaro nell’introduzione: “Non siamo niente se non siamo in grado di difenderci” e, successivamente, “se non saremo più in grado di fare delle cose, le faranno altri”. Luca Franchetti Pardo, ambasciatore presso il Comitato politico e di sicurezza dell’Unione europea, ha ricordato i numeri impietosi nel rapporto con gli Stati Uniti che investono il doppio dei 227 miliardi di dollari impegnati dagli europei, così come per esempio gli Stati dell’Unione hanno 178 diversi tipi di armi rispetto ai 30 americani o 17 carri armati rispetto all’unico a stelle e strisce. Indispensabile, dunque, uno sforzo per modificare la situazione attuale nella quale è importante la cooperazione strutturata permanente (Pesco) varata nel dicembre 2017 che, tra l’altro, impegna ad aumentare i bilanci della Difesa per arrivare a un 20 per cento in più di investimenti a medio termine. Luisa Riccardi, direttore ricerca e sviluppo tecnologico del segretariato generale della Difesa, pensa che la Nato debba comprendere “i meccanismi europei” avendo come obiettivo (soprattutto degli americani) di rendere l’Europa “indipendente nella capacità di reazione”.

Thierry Tardy è ottimista. Il responsabile della ricerca del Nato Defense College ha sottolineato i molti passi in avanti fatti in soli quattro o cinque anni, come i 13 miliardi previsti dal Fondo europeo per la Difesa dal 2021 al 2027, pur indicando alcune sfide tra le quali la compatibilità con la Nato e la persistente difficoltà di far accettare ad alcuni Stati che i rischi che arrivano dal Sud sono più complicati da comprendere di quelli da Est. Sul ruolo della Turchia, membro Nato ma con stretti rapporti con Mosca, Can Kasapoglu, analista difesa del Cdam di Istanbul, ha spiegato che l’industria della difesa turca è in crescita con aziende che sono tra i principali produttori di droni, elicotteri da combattimento e sistemi di comando e controllo. Nello stesso tempo, “la diplomazia attende di vedere come la Pesco inciderà sui rapporti tra le nazioni europee”.

Messaggi chiari sono arrivati dall’industria italiana. Per Giovanni Soccodato, direttore strategie e innovazione di Leonardo, ogni euro investito ne genera 2,5 e parallelamente per ogni occupato si arriva a 3,5-4 occupati con l’indotto complessivo. Investire nella Difesa, dunque, ha enormi ricadute economiche e nell’export. Purtroppo “oggi c’è un’estrema frammentazione”, ogni Stato europeo ha esigenze diverse come acquirente e offre parecchi prodotti diversi. Molto chiaro anche Lorenzo Benigni, vicepresidente e responsabile relazioni istituzionali del Gruppo Elettronica, un’eccellenza nel settore della difesa elettronica, per il quale “occorre una politica industriale funzionale agli interessi dell’Ue”. L’ideale sarebbe di arrivare a comuni requisiti operativi con conseguente cessione di sovranità nazionali (questo è il problema) che però genererebbero riduzione di costi e più occupazione. L’alternativa è mettere “a rischio la sicurezza nazionale” e saremmo “soggetti a interventi esteri”.

Su tutto il dibattito ha aleggiato il fantasma delle scelte politiche. Giovanni Luca Aresta, vice capogruppo del M5S alla commissione Difesa della Camera, ha sostenuto con forza l’importanza del Fondo europeo per la Difesa che, sui 13 miliardi complessivi in un settennato, ne prevede 4,1 per la ricerca e 8,9 per lo sviluppo. La sua ricetta è: migliorare l’autonomia dell’industria europea, sostenere i progetti collaborativi, no alle duplicazioni e alla frammentazione dei prodotti e ha concluso la discussione dicendo che “i cittadini hanno bisogno di protezione”. Tutti d’accordo, ma come si fa se il M5S sta programmando drastici tagli ai fondi per la Difesa nella Legge di bilancio?


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