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La politica, l’industria e la diplomazia viste da Giuseppe Bono

La politica, quella delle aule parlamentari, difficilmente può fermare l’industria. Ma la diplomazia, quella sì, può aiutarla. In un mondo globalizzato e competitivo chi ha il prodotto migliore lo vende specialmente se supportato da una rete di relazioni robusta e proficua. Giuseppe Bono, ceo di Fincantieri, era forse la persona più indicata per capire quanto oggi la competitività di un Paese possa fare a meno di certa politica e quanto invece non possa privarsi del sostegno diplomatico.

Il manager che guida il gruppo di Trieste leader mondiale nella cantieristica civile è stato protagonista di un colloquio con il giornalista tedesco Tobias Piller (Frankfurter Zeitung) in occasione della presentazione alla Stampa estera della nona edizione del Festival della diplomazia, in programma dal 18 al 26 ottobre a Roma e che quest’anno vanta cifre record: 72 incontri, 120 ore di confronti in 70 ambasciate e 8 università. Bono, affiancato per l’occasione dal presidente Fincantieri e dipolomatico di lungo corso, Giampiero Massolo, ha fornito una lettura sulla capacità di fare mercato ai tempi della guerra commerciale e del ritorno del protezionismo.

Tutto parte da un presupposto. Se la politica è in guerra non è detto chlo sia anche l’industria. “Al massimo siamo in guerriglia. Io non credo che i cambiamenti politici possano impattare più di tanto su un’industria che già da decenni compete a livello globale, arrivata ad essere fornitore di tutte le compagnia di navigazione civili del mondo”, ha spiegato Bono. In fine dei conti “anche noi facciamo politica, ma non quella di chi governa, facciamo la politica di chi fa industria. Abbiamo bisogno della diplomazia, quella sì. In ogni Paese dove operiamo per esempio c’è un’ambasciata, un consolato che è un po’ il centro nevralgico dei nostri interessi”.

Un esempio, a detta del manager vale per tutti. La svolta “politica” protezionsita americana impatterà in qualche modo sui mercati dove Fincantieri compete? “Certo che no, i dazi non ci hanno toccato, anzi ci hanno in un certo senso rafforzato. Faccio un esempio. La cantieristica americana è stata oggetto di sovvenzioni al fine di ottenere un sostegno dal governo. Questo però ha in un certo senso impedito ad essa di crescere, di svilupparsi e alla fine quella europea è risultata la migliore. Perché solo la concorrenza, la competitività fanno crescere il mercato, specialmente se in quel mercato ci sono delle eccellenze. D’altronde, anche la stessa natura di Fincantieri è un esempio. Siamo partecipati dallo Stato ma rispondiamo anche a una vasta platea di azionisti”.

Era davvero impossibile fare un riferimento alla nascente cooperazione tra Italia e Francia per la realizzazione di un polo globale per la cantieristica civile e anche militare. Questa mattina  il presidente di Naval Group, il costruttore di scafi transalpino, Herve Guillou, ha smentito le voci circolate in questi ultimi giorni sulle tensioni sorte con Fincantieri. Secondo Guillou è necessario stringere alleanze strategiche per far fronte alla concorrenza della Russia e della Cina visto che i cinesi di Cscc hanno costruito in tre anni l’equivalente della flotta francese producendo una fregata al mese. I russi di OSK saranno il secondo attore mondiale dal 2020″.

Un progetto indispensabile anche per lo stesso Bono dal momento che “sia che si tratti di militare o di civile, il consolidamento è oggi la ricetta per sopravvivevere e vincere. Non è un caso che abbia sempre sostenuto la necessità di un rafforzamento della politica di difesa europea. E non è un caso che ritenga essenziale l’operazione con la Francia, la quale verrà ultimata verosimilmente il prossimo anno”.

Non è tutto. Nelle riflessioni di Bono solleticate da Piller c’è stato spazio anche per considerazioni anche di carattere più sociale. Per esempio il problema dei giovani in Italia. “C’è una grande questione che vede al centro il fatto che ci sono molti giovani che non vogliono più fare certi mestieri. Forse non vogliono, forse non possono, il punto è che manca la formazione, quella vera, profonda. Noi, parlo dell’Europa, abbiamo cercato manodopera all’Est, dove sono rimaste della sacche. Ma poi? Senza un programma su larga scala di formazione ci potremmo ritrovare senza manodopera specializzata in tutta l’Europa”.



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