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Perché i cattolici devono tornare a fare politica. Parla Becchetti

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Un consiglio, un appello ai cattolici perché tornino ad occuparsi della cosa pubblica è arrivato nella giornata di ieri dalle parole di Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, intervistato in occasione della canonizzazione di di Paolo VI. Ritornare a riempire un vuoto politico, allora, a questo punta il cardinale, e di questo Formiche.net ha parlato con Leonardo Becchetti, economista, esperto di finanza etica, microcredito, responsabilità sociale di impresa e commercio equo e solidale, secondo il quale le misure economiche volute dal governo gialloverde dimenticano i più bisognosi, ma hanno saputo intercettare il malcontento della gente che ora è necessario tradurre con una nuova visione di futuro, che non sia semplicistica come quella proposta dal populismo.

Il cardinale Angelo Becciu ha fatto un appello ai cattolici perché tornino all’impegno politico riempiendo uno spazio che ora sembra essere vuoto. Ma di cosa è fatto questo vuoto, politicamente parlando?

Inizierei dicendo che ci sono tanti cattolici impegnati in politica singolarmente, quindi non si può dire che non ci siano cattolici in politica. La politica oggi non è solo fatta dai politici di professione, ma è fatta dall’interazione tra i singoli, tra gli enti intermedi, la società civile e quello che si determina nel mondo della comunicazione. I cattolici sono molto presenti in tutti questi mondi, quello che manca veramente è una formazione che si ispiri direttamente ai valori cattolici. Quello che di solito accade è che i partiti di destra sono molto meno sensibili sui temi della solidarietà – si veda adesso la questione dei migranti – e i partiti di sinistra tendono a essere meno sensibili sui temi della difesa della vita, però secondo me questo è un momento molto favorevole da molti punti di vista perché ci sono molte persone impegnate nella società civile, nell’accademia, che hanno una base di pensiero importante. Ma è importante metterli in squadra.

Ci può fare qualche esempio?

Penso al tema della generatività di Mauro Magatti, il tema dell’economia civile che sviluppiamo assieme a Stefano Zamagna e Luigino Bruni, penso al lavoro di Alessandro Rosina, insomma ci sono tantissime persone che sono impegnate, credo che sia importante metterle in rete. L’errore peggiore, che non si deve fare, è pensare alla scorciatoia del leader, questo è un sistema politico che brucia leader in continuazione. È chiaro che poi un leader politico ci vuole, però un leader politico senza una base di pensiero forte e senza una squadra dietro credo sia destinato ad essere molto fragile e quindi a durare poco. È molto importante costruire la squadra e un pensiero di base. Oggi di fatto c’è un pensiero, ma è un pensiero che a noi non piace, che è fondato sull’1-1=0, sul principio hobbesiano homo homini lupus, quindi sul sovranismo, sul conflitto e sul contrasto.

Cosa ha reso il sovranismo così forte e permeante tra i cittadini?

Questo pensiero si è affermato attraverso una capacità di comunicare molto superiore a quella dei suoi avversari. Oggi, quindi, la concentrazione degli sforzi, per arrivare a una maggiore forza in politica, deve essere non quella della ricerca del leader, ma nella costruzione di una base forte di pensiero alternativa provando a vincere quindi la sfida nel campo della comunicazione, preparando poi una squadra di persona da cui poi possa uscire anche il leader.

Sono queste, quindi, le basi su cui si dovrebbe ripartire?

Sì, i tre aspetti che dicevo prima, che vengono prima del leader: anzitutto fare squadra e mettere in rete tutti i mondi che ho citato prima, aggiungendo il lavoro fatto da Enrico Giovannini con Asvis, il lavoro di Marco Bentivogli col sindacato. Questi mondi, se si mettono tutti in rete, sono molto forti. Io gli do un peso forse esagerato, ma secondo me la comunicazione oggi conta tantissimo. La comunicazione spiega perché Trump è andato al potere, perché in Brasile c’è Bolsonaro e perché da noi c’è la Lega, quindi dobbiamo riuscire a dare una forza comunicativa alla nostra visione. La comunicazione ha stravolto il significato di alcune parole, la solidarietà, la cooperazione, la bontà è diventata buonismo, c’è stata una vera e propria offensiva e in parte deriva anche dal fatto che ci sono sempre anche i cattivi esempi. Ma non è solo questo, c’è stata una capacità di organizzare la comunicazione che dall’altra parte non c’è stata. È vero che è un mezzo, ma è fondamentale, oggi. È come se vai in battaglia con le lance e le fionde quando gli altri hanno le armi da fuoco.

E il terzo?

Il terzo aspetto, che secondo me già esiste, è un patrimonio di idee e di valori, di realizzazioni locali sul campo che già esiste, tutto il filone della generatività, il filone dell’economia civile, il modello di avere delle società generative dove le persone sono soddisfatte, puntare insomma alla felicità, sono tutte cose che noi abbiamo sviluppato negli anni e che hanno delle precise tradizioni politiche e delle precise ricette di politica economica. È un filone che si sta cimentando sul campo attraverso buone pratiche e laboratori di innovazione sociale Questo fondamento che già c’è deve tradursi in forza comunicativa e in rete, squadra politica. Questo, purtroppo, ancora non c’è.

Conte anche ha detto che questo governo è populista “perché è vicino alla gente”. È d’accordo con questa visione di populismo?

Alcuni si rifugiano dietro l’assunto per cui gli italiani hanno eletto Salvini e Di Maio quindi non capiscono nulla, qualcuno ironicamente ha detto che in Italia ci sono milioni di persone sotto la soglia d’intelligenza. In realtà se si va a vedere un’indagine Swg di pochi giorni fa su cosa pensano gli italiani si vede che i cittadini sono di una grandissima lucidità, cioè hanno capito benissimo i problemi del nostro mondo, in particolare relativi alla qualità e alla dignità del lavoro. Hanno dei desideri – sempre secondo l’indagine Swg -, hanno capito benissimo quello che vogliono, che sono cose belle: si parla di etica, di mutualismo, di lavoro, di benessere, quindi non ce la dobbiamo prendere con gli italiani. Il problema è che dare delle risposte a queste istanze oggi è molto difficile, ed è lì che si gioca il corto circuito.

A cosa può portare?

È molto difficile dare risposte ed è facile che poi la gente vada alla ricerca di scorciatoie, che vada alla ricerca di ricette rozze. La ricetta rozza è: l’immigrazione la risolviamo fermando gli stranieri, oppure creando una contrapposizione tra italiani e stranieri, oppure allargando i cordoni della spesa rischiando magari una crisi finanziaria o mettendo a rischio le generazioni che verranno. Ecco, queste sono scorciatoie che tentano i cittadini e di fatto stanno avendo successo. Questo è il populismo, il populismo che cos’è se non dare delle risposte rozze ai problemi che ci si trova di fronte? Il vantaggio di questi movimenti, però, è che hanno preso sul serio questo disagio popolare.

Le misure economiche portate avanti dal governo, come il reddito di cittadinanza, puntano – secondo chi le propone – ad aiutare le fasce più deboli. Da economista che idea si è fatto?

Cos’è che non ci piace di questa manovra? Io dico che è come navigare vicino agli scogli, cioè creare una situazione di forte rischio, vedremo le agenzie di rating nei prossimi giorni e vedremo come si risolverà il problema con l’Europa. Si crea un rischio molto forte di crisi che poi avrebbe conseguenze soprattutto sui più poveri, quindi come si fa a dire che stanno aiutando gli ultimi. Faccio un esempio: in questo momento il Portogallo sta crescendo molto più dell’Italia, ha scelto una strada molto interessante sul fisco, che punta non al condono ma alla lotta all’evasione che poi porta alla riduzione delle tasse, e il Portogallo sta migliorando la crescita, sta migliorando i conti pubblici, e addirittura ha avuto un upgrade da parte delle agenzie di rating. Ecco noi stiamo andando in una direzione quasi opposta, quindi in un certo senso è questo il pericolo della manovra complessiva. Ma non solo.

Si riferisce ad altre misure della manovra?

Sì, ad esempio la riforma delle pensioni rischia veramente di rompere l’equilibrio dei conti pubblici. Si punta su misure che non favoriscono lo sviluppo, che non producono risorse per ripagare poi la spesa realizzata. Quindi, dal mio punto di vista, la manovra è largamente insufficiente, anche se non sono contrario al principio che ci debba essere una rete di protezione, ma quella l’aveva già messa il governo precedente col Rei. Allargare quella rete non è di per sé sbagliato, anzi è una cosa lodevole, però se la manovra è fatta di condoni, di pensioni e di reddito di cittadinanza non ci siamo con l’indirizzo e la direzione che dobbiamo dare al Paese.

Perché è così pericolosa la revisione gialloverde della legge Fornero?

Perché facendo i conti in un Paese dove l’aspettativa di vita continua a crescere, dobbiamo avere un equilibrio tra tempo di lavoro e tempo in cui si va in pensione, un equilibrio tra contributi versati e pensioni erogate. Questo equilibrio salta. Già questo Paese ha una torta del welfare composto per gran parte dalle pensioni anche in relazione agli altri Paesi. Noi stiamo, con questa misura, aumentando ancora di più questa fetta, facendo un welfare che è sbilanciato verso gli adulti, tra l’altro nel lavoro dipendente, che penalizza i giovani e le generazioni future. A mio avviso c’è qualcosa che non funziona, non dico che siamo tornati alle pensioni baby, però la direzione non è quella corretta.

Il presidente Conte ha parlato anche della pace fiscale. Per alcuni – come la Lega, ma anche Forza Italia – potrebbe far ripartire l’economia. Cosa ne pensa?

È un segnale veramente brutto perché innanzitutto non è equo. Quello di cui avremmo bisogno è pagare meno ma pagare tutti, ossia una lotta molto decisa all’evasione fiscale che oggi abbiamo gli strumenti per farla, basterebbe ridurre il contante, fare quello che come dicevo è stato fatto in Portogallo con la fatturazione elettronica un po’ come si fa in farmacia quando noi diamo la scheda e automaticamente quello va all’agenzia delle entrate e poi possiamo detrarre la spesa medica. Se noi pagassimo tutti le tasse potremmo ridurre il peso fiscale del 20-30%, in questo modo invece stiamo premiando i furbi e stiamo dando un segnale molto sbagliato.

Come vede l’economia italiana – dopo l’avvio di flat tax, reddito di cittadinanza, quota100 – da qui a un anno?

Innanzitutto anche se la manovra non ci piace noi dobbiamo tifare sempre per il Paese e non fare i catastrofisti, quindi la speranza è che comunque il Paese cresca. Sappiamo però che le previsioni di crescita sono degli enti esterni sono molto inferiori rispetto a quelle del governo. Il governo parla di una crescita dell’1,5%, le previsioni sono attorno all’1% per il 2019. Il governo scommette su un grosso effetto moltiplicatore, ed è tutta lì la ragione del contendere, ossia sperare che questi soldi in più che arrivano, come il reddito di cittadinanza, si trasformino in consumi che facciano accelerare l’economia. Non è così facile, ma dobbiamo sperare da italiani che il governo abbia ragione. Le previsioni, però, sono molto meno ottimistiche di quelle del governo.



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