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Potere dei numeri. Ora Confindustria è davvero preoccupata dal Def

La politica è una cosa i numeri un’altra. E anche in Confindustria se ne sono accorti, questa mattina, quando il Centro Studi dell’associazione ha presentato il suo primo rapporto di scenario economico dell’era gialloverde. Forse non è più tempo di endorsement a Matteo Salvini da parte del presidente Vincenzo Boccia perchè oggi si è capito che agli industriali il Def e dunque la manovra, piace davvero poco. Il bagno di realtà è arrivato, puntuale, alle dieci del mattino, quando il direttore del Csc, Andrea Montanino, ha cominciato a snocciolare davanti al presidente Boccia, il ministro Giovanni Tria e il vicepresidente della Cdp, Luigi Paganetto, previsioni di breve-medio termine. E quello che è uscito dalla sala Pininfarina al settimo piano della sede confindustriale non è stato particolarmente esaltante.

SE LO SPREAD SI MANGIA (MEZZO) REDDITO DI CITTADINANZA

Se è vero che tutto ha un costo, lo spread è tra le voci di spesa più pesanti. A fine 2018 verrà servito al governo un conto da 1,3 miliardi di euro. Di che si tratta? Degli interessi aggiuntivi che lo Stato italiano dovrà pagare sul debito in scadenza nei prossimi due anni. E questo perché senza cedole più ricche nessuno o quasi ci avrebbe sottoscritto il debito e dunque prestato il denaro necessario a sopravvivere. Nel 2019 andrà se possibile ancora peggio, perché la spesa per gli interessi si aggirerà intorno ai 3,2 miliardi di euro. Sommando, il Tesoro dovrà garantire interessi per 4,5 miliardi, praticamente quasi la metà del costo stimato nell’attuale Def per il reddito di cittadinanza (9-10 miliardi).

EVITARE IL DOWNGRADE. MA COME?

C’è solo un modo per evitare di vanificare gli sforzi inseriti nell’aggiornamento del Def, ben incastonato nelle quasi 120 pagine del rapporto. E cioè impedire che l’Italia vada incontro a un downgrade congiunto da parte delle principali agenzie di rating. L’unica vera strada per evitare che il debito italiano si posizioni su un livello vicino al junk (spazzatura) e che innescherebbe la fuga degli investitori, è quello di indicare come rendere sostenibile il debito stesso. Il rapporto lo dice chiaramente in un passaggio, nel quale si suggerisce senza troppe formalità “un percorso di rientro del debito pubblico italiano, dopo quattro anni persi, attraverso misure che incidano sulla dinamica del Pil”. Questo “è cruciale per rassicurare i risparmiatori che investono nel debito del Paese, cioè i mercati finanziari, evitando che i primi segnali già osservati di uscita di capitali esteri e domestici dall’Italia si possano trasformare in un pericoloso trend”.

NIENTE COPERTURE? PIÙ TASSE

Matteo Salvini vuole abbassare le tasse e anche Luigi Di Maio. Obiettivo nobile ma qualcuno, dice Confindustria, non ha fatto bene i conti. Perché c’è così tanta carne al fuoco nel contratto e dunque di riflesso nel Def gialloverde, che si rischia di non avere i soldi per fare tutto. Risultato? Nuovo aumento delle tasse, perché delle due l’una. O si trovano le coperture o qualche misura del contratto deve andare a casa. O se proprio non si vuole rinunciare a nulla occorre un aumento della tassazione per garantirsi le risorse, anche con un deficit al 2,4%. “Senza coperture credibili è probabile un aumento delle tasse in futuro”, scrive Confindustria. “Con un aumento del deficit/Pil al 2,4% si liberano 7 miliardi che non sono molti, quindi avremo una manovra imponente, da 25-30 miliardi, sono fondamentali le coperture, perché i mercati valuteranno le coperture e cosa si farà con questi soldi”.

TRA PIL PENSIONI

Risulta fin troppo evidente come a Confindustria il Def gialloverde metta un certo timore. Altrimenti non si spiegherebbe il drastico taglio del Pil elaborato dal Centro studi. Il prodotto interno lordo sarebbe in rallentamento all’1,1% nel 2018 e allo 0,9 nel 2019, rispetto all’1,6 registrato nel 2017. Rispetto alle previsioni di giugno, dunque, la crescita cala di 0,2 punti percentuali. E c’è sempre un colpo di grazia dietro l’angolo. Che per Confindustria risponde al nome di pensioni. Ancora un passaggio del rapporto. “Bisogna non smontare le riforme pensionistiche perché ciò renderebbe necessario aumentare il prelievo contributivo sul lavoro. Se il meccanismo di quota 100, per permettere l’anticipo della pensione, venisse introdotto, andrebbe invece nella direzione opposta”.

DI MAIO E SALVINI ASSENTI (MA IN STREAMING)

Al netto di Tria, reduce da una nottata a Palazzo Chigi per gli ultimi ritocchi al Def (oggi a pranzo è previsto un nuovo vertice), del governo non c’era nessun altro. Ma Salvini e Di Maio dovevano essere in qualche modo collegati con Viale dell’Astronomia, visto che a stretto giro di posta è arrivata una loro risposta agli imprendtori. Il più tagliente è stato Di Maio, il quale ha invitato Confindustria a non farsi illusioni “perché noi non torniamo indietro. Anzi, la manovra del popolo è quasi pronta”. Più tecnica la ribattutta di Salvini. “Superare la legge Fornero è una priorità mia, della Lega e del governo. Restituire il diritto alla vita e alla pensione a centinaia di migliaia di lavoratori, liberando quei posti di lavoro per i giovani, è un mio dovere morale. Confindustria, Inps e burocrati europei alla fine del percorso ci daranno ragione”. Piccola annotazione. Mentre i due vicepremier parlavano il contatore dello spread ha segnato quota 300.

 

 

 

 

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