La forte accelerazione della politica estera della Repubblica Democratica della Corea prosegue. Segno questo che non si tratta, come qualche analista statunitense affermò durante lo storico primo incontro tra i leader delle due Coree del 27 aprile 2018 di una semplice operazione di “immagine”. L’invito al Papa, da parte di Kim Jong-Un, è avvenuto però durante l’ultimo meeting con il presidente di Seoul Moon Jae-In, il 18 settembre scorso. Moon Jae-In appartiene, peraltro alla sempre più potente comunità cattolica romana coreana. Che aveva un punto di forza, all’inizio del XX secolo e della rivolta antigiapponese, proprio a Pyongyang, la “Gerusalemme dell’Est”, come veniva spesso chiamata.
Una Chiesa, quella di Seoul, ovvero la “Religione del Signore dei Cieli”, come viene spesso denominata nella penisola coreana, forte di oltre 5.800.000 fedeli, l’11,8% della popolazione, con 5360 sacerdoti e 1743 parrocchie, con 15 diocesi. I martiri coreani che, a migliaia, furono trucidati durante la lunga dinastia confuciana Joseon, distrutta dai giapponesi nel 1910, furono già canonizzati da Papa Giovanni Paolo II, in numero, rilevantissimo e insolito, di 103. Né bisogna dimenticare l’Abbazia Benedettina di Tokwon, dei missionari tedeschi di San Ottiliano, distrutta dalle bombe americane nel 1950 e di cui tutti i monaci e le monache furono prima internati e poi eliminati dal governo del Nord, nell’ottobre di quell’anno. Oggi le costruzioni rimaste dell’Abbazia fanno parte dell’Università dell’Agricoltura di Wonsan, mentre il nuovo monastero benedettino è stato ricostruito a Waegwan, in Corea del Sud. Una Chiesa “militante”, quindi; ed in piena espansione negli ultimi anni, con una crescita dei fedeli di circa l’1,5% ogni anno.
La Corea (sia del Nord che Sud, in questo caso) ha il maggior numero di Santi per nazione al mondo; ed è favorevolmente percepita dalla totalità della popolazione coreana. Mentre il protestantesimo, che rappresenta il 18% della popolazione sudcoreana, è in leggero rallentamento per quel che riguarda il proselitismo; il cattolicesimo romano, Chiesa della popolazione cristiana più povera, si espande, come abbiamo già detto, mentre i vari “riformati” sono ancora presenti, ma soprattutto nella classe media occidentalista. Altro segno che Kim Jong-Un non ha certo trascurato.
Ma, anche nel Nord, dopo il grande trasferimento di massa verso quella che diventerà, durante il periodo del dominio giapponese, l’area industriale della intera Corea, le vecchie classi dirigenti locali si rinchiusero nel confucianesimo, mentre le nuove élites furono in gran parte di tradizione religiosa riformata. Ma i figli della prima emigrazione inter-coreana al Nord, che avevano studiato soprattutto nelle scuole protestanti, divennero poi appassionati nazionalisti, quelli che consideravano proprio gli Stati Uniti, paradosso della storia, il punto di riferimento per la lotta antigiapponese. Entrambe le Chiese cristiane ebbero quindi il loro punto di forza nella Corea settentrionale. I protestanti della penisola coreana, soprattutto i presbiteriani, sono ancora sostenuti largamente dai loro confratelli nordamericani, i cattolici coreani, oggi come ieri, hanno una più ampia visione e supporto internazionale. Le note storiche sono ancora importanti, in questo caso. Infatti nel 1919, 33 religiosi, sia protestanti che cattolici, detti il “Movimento 1 marzo”, votarono una, certamente la prima, Dichiarazione di Indipendenza della Corea, mentre furono soprattutto i cattolici coreani a rifiutarsi di adorare come un dio l’imperatore del Giappone.
Altro segno che il Nord non dimentica di certo. I presidenti cristiani della Corea del Sud sono stati tre: Kim Dae-Jung, (1998-2003) cattolico, Lee Myung—bak (2008-2013) presbiteriano, infine l’attuale Moon Jae-In, (dal 2017) cattolico romano. Papa Francesco è già venuto in Corea del Sud, peraltro, il 14 agosto 2014; e in quella fase la Chiesa Cattolica sudcoreana chiese ufficialmente al leader della Corea del Nord il permesso di avere al Sud una delegazione dalla Corea del Nord, per partecipare ai festeggiamenti, ma, come è facile prevedere, il permesso fu negato. Il 18 ottobre 2018, però, il presidente della Corea del Sud sarà in Vaticano, per visitare Papa Francesco. E porterà al Pontefice un messaggio scritto del leader nordcoreano.
Ma torniamo all’invito a Papa Francesco fatto da Kim Jong-Un, il leader della Corea del Nord. Un invito che cambia l’intera politica estera della Corea settentrionale. Kim aveva già detto a Moon Jae-In, nel recente meeting di settembre, che avrebbe “ardentemente desiderato” che papa Francesco visitasse Pyongyang. Chi scrive, magari è bene ricordarlo, ha favorito la costruzione di una Chiesa cattolica in Korea del Nord, fin dal 1987, Chiesa che è stata costruita ed è normalmente in attività, con le funzioni officiate da un sacerdote che proviene dalla Corea del Sud. Già Kim Il Sung, me lo ricordo benissimo, voleva instaurare buoni rapporti con la Chiesa Cattolica, e molto fu fatto, anche dopo la dipartita di Kim Il Sung, per avere buone e ufficiali relazioni tra Pyongyang e la Santa Sede. Mi ricordo, soprattutto, lo scambio di missive tra i due Stati, svolto grazie all’aiuto e al sostegno del Nunzio apostolico di allora a Ginevra, Mons. Bertello, che ebbe modo di scrivermi sull’argomento. Una prima osservazione, quindi. Kim Jong-Un non vuole più apparire, in Occidente, come il “rocket man”, per usare la brutale espressione che usò il presidente Usa Trump, peraltro poco prima di conoscerlo e di cambiare completamente idea su di lui. Una seconda osservazione: la Corea del Nord, per la sua proiezione globale futura, ha bisogno della diplomazia vaticana e di un buon rapporto con la Santa Sede. Terzo elemento da osservare è che la Chiesa di Papa Francesco, in fase di definizione del nuovo rapporto con la Cina, non può non cogliere l’opportunità che si presenta a Pyongyang.
E non è certo un caso che Kim Jong-Un abbia invitato Papa Francesco nelle more dell’accordo tra il Vaticano e la Repubblica Popolare Cinese. E non ritiene nemmeno inutile, per la Chiesa stessa, l’apertura di una relazione efficace con Kim Jong-Un, leader della Corea del Nord e, in futuro, potente player strategico e economico in tutta l’Asia del Sud Ovest. Il Leader di Pyongyang sta globalizzando il suo Paese, alle sue regole e con i suoi tempi. E qui, il rapporto con una Chiesa che ha così gran parte nella storia coreana non può certo essere trascurato. Il Presidente Moon Jae-In, del resto, aveva già portato con sè, nella sua terza visita al Nord, nello scorso settembre 2018, un importante arcivescovo del sud, Hyginus Kim Hee-joong, che ha raccolto personalmente, durante un colloquio con il leader nordcoreano, la volontà diretta di far conoscere al Papa “l’ardente desiderio di pace” di Kim Jong-un. Proprio Papa Francesco, nella sua visita a Seoul del 2014, celebrò una S. Messa per riunificazione tra Nord e Sud. Certo, la questione nordcoreana si interseca bene con la “diplomazia dell’incontro” del Santo Padre, basata sui rapporti diretti e la fiducia personale tra i leader e la ricerca dell’obiettivo primario, secondo la vecchia e nuova Teologia di Papa Francesco della politica, anche di quella internazionale: il “bene comune”. Papa Francesco ha, per esempio, già compiuto una visita in Colombia, garantendo un accordo di pace tra il governo e le FARC, ma proprio in Corea del Sud il Pontefice ha ricordato che “la misericordia porta alla riconciliazione”.
Sempre il Vaticano si è mosso, con tempismo e rara efficacia, nella riconciliazione tra Stati Uniti e Cuba, sempre nel 2014. Moon Jae-In, il presidente di Seoul, parla spesso, e certamente questo è un dato riferibile alla sua teologia politica di radice cattolica, alla “pace giusta”, in evidente collegamento e opposizione alla teologia di San Tommaso d’Aquino, che parlava, come è noto, di “guerra giusta”. Peraltro, Moon Jae-In si è spesso occupato, in stretto rapporto con la Chiesa Cattolica locale, di diseguaglianze sociali e di crisi economica. Un tema molto caro anche a Papa Francesco, che spesso unifica, nei suoi discorsi, pace universale, riforma economica e “teologia della misericordia”, mentre il Presidente di Seoul spera che siano proprio i cattolici del Sud a riunificare la Corea.
Non si tratta quindi, come hanno affermato alcuni media occidentali, di una semplice charm offensive da parte di Kim Jong-Un, ma di un progetto politico attento e sottile. Avere come sponda la Chiesa Cattolica e la sua diplomazia, in quasi contemporanea con gli accordi tra il Vaticano e la Repubblica Popolare Cinese, mentre prosegue la trattativa con gli Usa e la stessa Corea del Sud. Ecco l’idea di fondo del leader nordcoreano: una trattativa che non può non avere una sponda come quella vaticana, in un momento in cui la teologia politica di Papa Francesco diviene un messaggio globale di misericordia, certo, ma di superamento efficace di tutte le divisioni della guerra fredda e, soprattutto, in un momento in cui la Chiesa Cattolica diviene il riferimento mondiale per la giustizia sociale e la cessazione di ogni guerra. Una operazione che, immaginiamo, andrà a buon fine.
In queste foto Giancarlo Elia Valori davanti alla chiesa cattolica di Changchung: