Nella guerra commerciale senza esclusione di colpi tra Washington e Pechino, gli Stati Uniti hanno assestato un altro duro colpo a quelle che ritengono essere sofisticate e perduranti attività di cyber spionaggio da parte della Repubblica Popolare cinese.
Oggi il Dipartimento di Giustizia ha infatti incriminato diversi agenti dell’intelligence del gigante asiatico e altri individui, che – secondo l’accusa – avrebbero cercato di rubare informazioni a danno di aziende aerospaziali statunitensi (e non solo) attraverso operazioni di hacking.
NUOVE (E VECCHIE) ACCUSE
A conferma di quanto vasta sia l’attenzione rivolta al problema, c’è innanzitutto la notizia che, nei prossimi giorni, le autorità di Washington dovrebbero annunciare nuove accuse contro altri hacker considerati legati al governo cinese. Ma, soprattutto, ci sono le numerose dichiarazioni che l’amministrazione di Donald Trump – a cominciare dallo stesso presidente e dal suo vice Mike Pence – rivolgono da mesi nei confronti delle presunte interferenze e dell’aggressività del colosso asiatico. Solo poche settimane il DoJ aveva ottenuto l’estradizione dal Belgio di un alto funzionario dei servizi segreti cinesi, che ora sarà processato negli Usa. Mentre è altrettanto recente il caso, sollevato da Bloomberg, su chip spia nei server Usa.
CHI SONO E CHE COSA CERCAVANO
Nel caso odierno, i rilievi del DoJ sono precisi e mirati. Agenti ed hacker cinesi sono accusati anche di aver tentato di sottrarre info e dati sulla costruzione di un motore per aerei su cui sta lavorando anche l’azienda aerospaziale statale cinese.
L’indice, spiega la nota ufficiale del dipartimento, è puntato prevalentemente verso gli ufficiali dell’intelligence Zha Rong e Chai Meng, del ministero della Sicurezza presso la provincia di Jiangsu, il principale responsabile del controspionaggio cinese, ritenuti collegati a un’operazione per spiare in particolare la tecnologia del motore per aviazione civile Turbofan. Questo motore è stato sviluppato attraverso una partnership tra un produttore aerospaziale francese con un ufficio a Suzhou e una società con sede negli Stati Uniti. I membri della presunta cospirazione, assistita e abilitata dagli addetti ai lavori dall’agenzia di intelligence nazionale Jssd, avrebbero hackerato il produttore aerospaziale francese, nonché numerose altre compagnie coinvolte nella produzione del motore.
LE MOSSE DI TRUMP
Questa nuova notizia, ha già raccontato Formiche.net, giunge in un clima teso e di grande sospetto americano nei confronti di Pechino, soprattutto sul versante tecnologico, ritenuto strategico da entrambe le nazioni (Crowdstrike definisce la Cina come la nuova Russia dello spazio cibernetico per ciò che concerne la frequenza e la qualità degli attacchi). Non a caso l’amministrazione Trump ha inserito hardware per computer e reti, incluse schede madri, al centro del suo ultimo ciclo di sanzioni commerciali contro la Cina, con l’obiettivo di spingere le aziende a spostare le catene di approvvigionamento in altri Paesi ritenuti più sicuri. Inoltre, poche settimane fa, l’inquilino della Casa Bianca si era scagliato contro le presunte ingerenze della Repubblica Popolare per mettere in difficoltà l’attuale amministrazione Usa – ritenuta ostile – alle vicine elezioni di midterm a novembre.
I PRECEDENTI
Dal suo insediamento, il presidente Trump ha bloccato il tentativo di Broadcom – produttore di microprocessori con sede a Singapore – di comprare la rivale americana Qualcomm in un’operazione da 142 miliardi di dollari. Nonostante Broadcom sia basata a Singapore (e avesse, tra l’altro, intenzione di spostare il suo domicilio negli Stati Uniti anche per far piacere a Trump), Washington temeva che con l’operazione Pechino avrebbe raggiunto la supremazia nel campo dei semiconduttori e nello sviluppo delle tecnologie per la prossima generazione delle reti mobile (5G). Un simile genere di timori aveva spinto al recente stop dell’acquisizione di MoneyGram per mano di Alibaba e dell’accordo tra AT&T e Huawei, per citare altri casi.
LO SCENARIO
Ma la contesa non è solo economico-commerciale. Più in generale l’attivismo di Pechino nel cyber spazio – forse ora più che quello di Mosca, come accennato – viene osservato con grande attenzione da Washington, che considera la Cina un forte competitor – anche di sicurezza – in campo tecnologico, come dimostrano le tensioni con i colossi Huawei e Zte ma anche le crescenti preoccupazioni sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Nelle circa trenta pagine del nuovo ‘Worldwide Threat Assessment of the US Intelligence Community’, documento di analisi strategica presentato a febbraio dinanzi al Comitato Intelligence del Senato da Dan Coats, direttore della National Intelligence (che racchiude 17 agenzie e organizzazioni del governo federale), si evince la preoccupazione per i piani di Pechino e di altri Paesi (compresa la Russia), che – a differenza di singoli gruppi – possono contare su organizzazione e ingenti risorse, utili a mettere in atto strategie diverse sempre più aggressive.
La Repubblica Popolare, secondo lo studio, continuerà ad utilizzare lo spionaggio informatico e a rafforzare le sue capacità di condurre attacchi cyber a sostegno delle priorità di sicurezza nazionale (anche se in misura minore rispetto a quanto avveniva prima degli accordi bilaterali siglati nel 2015). La maggior parte delle operazioni cibernetiche cinesi scoperte contro l’industria del Stati Uniti, si sottolinea, si concentrano su aziende della difesa, di IT e comunicazione.
Non è un caso che l’argomento sia anche oggetto di uno specifico report annuale del Pentagono al Congresso, che si concentra sui progressi e i pericoli delle operazioni informatiche di Pechino in ambito militare.