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Quale strategia per il fintech in Italia

Di Sebastiano Barbanti
fintech rating

Che il modello disruptive evidenziato dal fintech ha un impatto rilevante lo dimostra il confronto con altri settori toccati per primi dalla rivoluzione digitale: basti pensare a musica, viaggi e video. In soli 10 anni abbiamo visto nascere ed entrare nella quotidianità strumenti come itunes, Spotify, Expedia, Booking, Netflix. Chi si è mosso prima e meglio ha visto crescere i profitti e ha dato vita ad un mercato molto concentrato: se nel mercato “fisico” le 3 maggiori imprese costituivano il 45% del settore nella “old-economy” adesso rappresentano l’80%.

In Cina società come Alipay e Tencent hanno ormai un numero di clienti paragonabile a quelli degli istituti classici, le cosiddette Big Tech possono vantare 1,8 miliardi di utenti e, secondo l’ultimo rapporto The Pulse of Fintech di Kpmg, il 2018 è destinato ad essere un altro anno da record per gli investimenti fintech: dopo soli due trimestri, ha già raggiunto 57,9 miliardi, meno di 5 miliardi rispetto ai massimi del 2015 di 62,5 miliardi. Europa e Asia sono aree fintech particolarmente calde al momento: con rispettivamente 26 miliardi di dollari e 16,8 miliardi di dollari, queste regioni hanno attirato quasi i tre quarti degli investimenti globali totali, mentre i finanziamenti Venture capital hanno ottenuto un significativo incremento durante il secondo trimestre del 2018. Il 47% delle attuali figure in banca spariranno entro 10 anni, mentre in Uk nel solo Canary Wharf di Londra, si registrano 50mila posti di lavoro direttamente impegnati nel fintech. Considerando l’indotto complessivo i posti di lavoro secondo una stima Uk potrebbero salire a 120mila.

Nell’ultimo anno l’attenzione per il fintech in Italia è cresciuta costantemente: numerosi sono stati gli interventi di Banca d’Italia e Consob, nei convegni di settore il fintech ha ormai assunto una propria dignità di trattazione, il Parlamento italiano ha condotto un ciclo di audizioni conoscitive che sono sfociate in un emendamento e una proposta di legge in merito.

Il P2P lending o il crowdfunding consentono l’accesso al credito a soggetti non bancabili o diversamente bancabili, il roboadvisor rende più accessibile (in termini di costo/efficienza) la gestione del personal finance, i servizi di money transfer e payment rendono meno onerosi e più semplici pagamenti e scambi di denaro dando un ulteriore impulso all’e-commerce e rispondendo all’esigenza di avere sempre a disposizione la propria disponibilità finanziaria. Nuovi paradigmi, nuovi mercati, nuovi canali necessitano però di adeguate normative al fine di garantire la tutela dei risparmiatori, la privacy dei dati personali trattati, i processi di Kyc (Know your customer) e di Aml (Antiriciclaggio di denaro) e l’elaborazione di una cornice normativa in grado di garantire un’equilibrata convivenza tra operatori tradizionali e startup fintech.
Uno Stato che mira ad accrescere il benessere della collettività deve governare il cambiamento ripensando ai modelli di sviluppo e alle politiche industriali di fronte alla nascita di nuovi settori, nuovi lavori, nuovi servizi.

In tale prospettiva il principio fondamentale a cui orientare l’azione della politica, nazionale ed europea, deve essere quello di assicurare che l’azione rinnovatrice delle nuove tecnologie finanziarie non riproponga i disequilibri, le strozzature concorrenziali e gli abusi di posizione attuali, mutando solo i soggetti che possono goderne. Serve assicurare che i “dividendi” dell’innovazione tecnologica siano fruibili da una platea sempre più vasta di cittadini, favorire l’inclusione, non solo finanziaria, ma sociale, politica e umana.

Nel disegno di un progetto “Italia fintech friendly” almeno tre sono le basi su cui ci si dovrebbe muovere: normativa, ecosistema e capitale umano.
Uno dei punti di forza in Uk è stato la regulatory sandbox, ovvero un ambiente di testing per le startup assistito dai regulators. In Italia diventa quindi fondamentale costruire un “sistema regolatorio graduale” che consenta alle aziende di sperimentare i loro servizi e prodotti con un impatto estremamente limitato destinato alla sola clientela professionale, per un periodo di tempo circoscritto e sotto la supervisione dei regolatori, che al contempo potranno studiare da vicino l’innovazione e adeguare opportunamente i sistemi di vigilanza. Non si tratta, quindi, di derogare alla regolamentazione attuale né di creare un contesto normativo differente e di vantaggio. Di tale ambiente potrebbero, tra l’altro, anche farne parte gli intermediari tradizionali con tutto vantaggio della competitività e dell’innovazione.

La creazione di un ambiente in cui coesistano enti regolatori, amministrazione pubblica, centri di ricerca, fondi di Venture Capital e start up fintech consentirebbe di creare un ecosistema più favorevole allo sviluppo del settore e all’attrattività del Paese. Non solo, serve anche disporre di capitale umano, di adeguata formazione, di attrarre competenze dal resto del mondo.

Infine, il governo, come sempre, gioca un ruolo chiave: da più parti è avvertita l’esigenza di un commissario strategico fintech, o di una “Fintech Agency” che gestisca un asset così strategico per il nostro sistema economico-finanziario. La scansione dell’orizzonte sarà essenziale per anticipare, monitorare e assistere nella gestione dei rischi e delle opportunità emergenti dal fintech e il nostro Paese non può permettersi di perdere un ruolo di leadership.


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