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La Storia, il numero chiuso a Medicina e i fondi fantasma della manovra. Parla Valeria Fedeli

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Valeria Fedeli non è mai davvero uscita di scena. L’ex ministra dell’Istruzione, oggi senatrice del Pd, continua a far sentire la sua voce dentro e fuori i palazzi. È stata appena nominata membro del Cda della Fondazione Giovanni Agnelli, dove fino a pochi mesi fa sedeva un gigante come Sergio Marchionne. E dalle fila del partito, in tempi oggettivamente poco clementi con la sinistra italiana, continua a sferzare colpi (e tweet) al governo gialloverde e a incitare i colleghi al Nazareno. In vista del congresso, e soprattutto delle elezioni europee, li invita a non scannarsi a vicenda, a non litigare sulla leadership, perché è sicura che “il Pd abbia tanti leader capaci”. Lo fa col tono schietto con cui ha affrontato mille battaglie nella Cgil, e che l’avrà anche fatta inciampare un paio di volte, ma soprattutto le ha guadagnato la simpatia trasversale dei colleghi in Parlamento.

Lunedì scorso l’abbiamo incontrata nella Galleria Alberto Sordi di Piazza Colonna, schierata in prima fila per ascoltare il suo amico Carlo Calenda e l’ex premier Paolo Gentiloni. Con l’occasione ha concesso a Formiche.net un’intervista molto personale e poco politica. Per fare luce anzitutto su due polemiche (o meglio, due gialli) che toccano da vicino il suo anno al Miur. La scomparsa del tema di storia dalla maturità. E la (ventilata) rimozione del numero chiuso a Medicina da parte dell’attuale governo. Ecco la sua versione dei fatti.

Valeria Fedeli, l’altro giorno era in prima fila alla presentazione del libro di Calenda. Lo vede bene come segretario?

Al momento non si è ancora candidato, ma spero che rimanga nel Pd e continui a portare la sua idea di innovazione che io condivido a pieno. Non possiamo sempre ridurre tutto alla corsa per il segretario. C’è bisogno di contenuti, lo dicono Renzi, Minniti, Zingaretti e lo dice Calenda. Lui ha un’attenzione particolare ai temi europei, e fa bene. L’Europa sarà il vero terreno di gioco.

Calenda, Minniti, Zingaretti si stanno cimentando in un esame di coscienza sugli errori commessi al governo che nelle uscite pubbliche, di Renzi si vede molto meno. Mi sbaglio?

Non è vero che Renzi non ha mai fatto autocritica. È stato perfino eccessivo quando si è dimesso da presidente del Consiglio.

Davvero?

Non parlo delle dimissioni in sé. Ha fatto una campagna per il referendum costituzionale troppo incentrata su di sé e ha sbagliato, perché quella riforma è nell’interesse di tutti, ma quando si è dimesso ha avuto il coraggio di ammettere gli errori commessi su una delle riforme cardine dei suoi anni a Palazzo Chigi: la Buona Scuola.

E quali sono questi errori?

Non si possono fare innovazioni e riforme senza ascoltare e coinvolgere i soggetti interessati. Il metodo è sostanza, abbiamo assunto centomila precari a tempo indeterminato, colmato il gap qualitativo degli istituti professionali con il resto d’Europa, eppure ci siamo messi i docenti contro.

A proposito di scuola, in questi giorni divampa una polemica che, dicono, riguarda anche il suo operato da ministro e quello della commissione di Luca Serianni. Davvero il tema di storia è sparito dalle tracce della maturità?

Premetto che Serianni è un amico e un luminare che stimo moltissimo, sono felice che stia continuando il lavoro della commissione con questo governo. Le rispondo citando il decreto legislativo 62 attuativo della legge 107/2015, che per la prima prova parla della “redazione di un elaborato con differenti tipologie testuali in ambito artistico, letterario, filosofico, scientifico, storico, sociale, economico e tecnologico”. Il tema “storico” c’è, e la storia appare trasversalmente anche in altre tracce. Penso alla maturità del 2018, dove a fianco di un tema storico su De Gasperi e Moro c’era una traccia sull’articolo 3 della Costituzione. Non è anche questa storia?

Perché allora le principali associazioni degli storici italiani (Cusgr, Sis, Sisem, Sisi, Sismed, Sissco) lamentano una marginalizzazione della storia nella scuola, a partire dagli istituti professionali?

Gli storici si svegliano solo adesso? Questo decreto è dell’anno scorso, c’è stato un lungo dibattito sulla trasversalità di alcuni contenuti, perché negli istituti professionali ci sono docenti che oltre alla storia insegnano filosofia o italiano. Io sono la prima a riconoscere che la storia è la chiave di lettura dell’arte, della letteratura, è un linguaggio in più.

Gli storici dicono di non esser stati consultati dal Miur…

Durante il dibattito parlamentare del 2017 ho fatto tutte le consultazioni necessarie. È risaputo che incontravo tutti, ero diventata il terrore della portineria, aprivo l’ufficio alle 6.30 del mattino. Ho ricevuto i docenti di italiano, ma dalle associazioni degli storici nessun segnale. Ora è giusto che si rivolgano al ministro Bussetti.

Bussetti ora ha altro a cui pensare. Deve fare i conti con le polemiche sull’abolizione del numero chiuso a Medicina spuntata nel comunicato stampa del Cdm sulla manovra. Che idea si è fatta?

Chiunque sa che se abolisci il test di ingresso non sei in grado di portare gli studenti dentro alle università, perché non ci sono gli spazi, i docenti, i laboratori per il tirocinio. Tradotto: se proponi una cosa del genere non sai di cosa parli. Bussetti almeno ha avuto l’onestà di ammettere di non saperne nulla. Ora sta interloquendo con i rappresentanti delle università nella Cru e con i rettori. Il tema prioritario è il numero delle specializzazioni: i posti vanno aumentati, servono altri finanziamenti.

Voi al governo avete fatto abbastanza per gli specializzandi?

Lo dico con sincerità. Nel mio anno al Miur abbiamo messo più soldi nella ricerca di base, abbiamo portato a casa il rinnovo dei contratti, compresi quelli degli universitari, abbiamo sbloccato i finanziamenti per l’edilizia universitaria, ma sulle specializzazioni si deve fare molto di più.

Bussetti ha confermato l’intenzione del governo di promuovere un allentamento del numero chiuso a Medicina. È giusto?

È corretto voler programmare gradualmente un allargamento del numero di ingresso, che è cosa ben diversa dall’abolizione del test. Per farlo servono finanziamenti. C’è solo un problema: Grillo e Bussetti non troveranno i soldi necessari perché in questa manovra non ve n’è traccia.

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