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Il futuro del servizio idrico

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Il valore dell’acqua ed il futuro del servizio idrico integrato. Se ne parlerà in un convegno, organizzato dalla Uiltec nazionale, presso l’Auditorium del Museo Archeologico Virtuale di Ercolano. Il diritto universale dell’acqua, la sua salvaguardia sociale e ambientale unitamente alla sua conservazione nel tempo, saranno i pilastri valoriali della discussione, basata sulla sostenibilità gestionale, sulla giusta tariffazione e sugli investimenti infrastrutturali.

“Negli ultimi decenni- spiega Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec nazionale-i consumi mondiali di acqua sono aumentati di quasi dieci volte: circa il 70% dell’acqua consumata sulla Terra è impiegata per l’uso agricolo, il 20% per l’industria, il 10% per gli usi domestici. In Italia il settore agricolo assorbe il 60% dell’intera domanda di acqua del Paese, seguito dal settore industriale ed energetico con il 25% e dagli usi civili per il 15%. I dati attuali sulle risorse idriche disponibili, sulla carenza idrica, sulla siccità e sull’indice di sfruttamento idrico, unitamente alle previsioni sul cambiamento climatico ci dicono chiaramente che economizzare il consumo ed efficientare la gestione è un obbligo. Solo l’un percento della risorsa idrica nazionale è direttamente accessibile al consumo e lo stress delle riserve disponibili in Italia (ovvero il rapporto fra quantità estratte e risorse disponibili) ha superato un valore ritenuto di soglia rispetto all’uso insostenibile nel medio periodo”.

Cosa fare? La Uiltec avanza una proposta ben precisa. Il sindacato in questione ritiene che il ruolo degli enti locali debba essere ricondotto a quello di indirizzo e controllo, spezzando il classico elemento di gestione politica mirata al consenso, attraverso l’intervento diretto sugli operatori. Attraverso una gestione industriale dei processi e delle attività, nell’ottica della gestione efficiente e produttiva, si può garantire il prevalere dell’interesse collettivo su quello dei pochi. Appare sempre più urgente migliorare le politiche di incentivazione ai processi di aggregazione societaria. La dimensione aziendale, nella certezza occupazionale e contrattuale, è elemento di garanzia per il rispetto di standard di sicurezza, qualità ed economicità indispensabili ad uscire dalle molte realtà del paese, dove permane la c.d. gestione in economia del servizio.

Una gestione industriale irrinunciabile anche in relazione all’abbattimento dei livelli di abusivismo e morosità esistenti. Gli acquedotti del nostro Paese sono vetusti e senescenti. A fronte di questa realtà gli investimenti programmati dal 2014 al 2017, si attestano su un valore medio nazionale di soli 32 euro per abitante all’anno, molto inferiori a quelli di tutti i paesi europei. In Italia “il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa (percentuale che sale al 70% nei grandi centri urbani) e il 25% di queste supera i 50 anni (arrivando al 40% nei grandi entri urbani)”. La fatiscenza degli acquedotti causa, al centro e al sud, una percentuale di perdite nella rete di rispettivamente 46% e 45%: quasi la metà. Percentuale che invece si abbassa molto al nord, attestandosi al 26%. Questa condizione nella rete del centro-sud del Paese impone una urgenza d’intervento prioritaria, anche in un ottica di “recupero” di intere aree dove la garanzia del servizio è al di sotto di standard di decenza, tanto da mettere in discussione il concetto stesso di diritto universale.

“Serve determinare – spiega Massimiliano Placido – un sistema dove l’investimento sulle infrastrutture oltre che dalla tariffa, l’attuale metodo tariffario già coglie tali aspetti puntualmente, venga premiato con gradualità ma con certezza, attraendo capitali privati e pubblici e generando ricchezza. Il volume di investimenti necessario a riportare lo stato della rete idrica italiana ai livelli europei è infatti tale da non poter essere soddisfatto senza l’intervento pubblico, pena la realizzazione in tempi biblici del risanamento. Secondo i dati dell’Autorità, tra il 2016-2019 sono stati già programmati dai gestori 12,7 miliardi di euro d’investimenti. Sempre secondo l’Autorità, ce ne vorrebbero almeno altri 25 di miliardi per mettersi in regola con gli standard e gli adempimenti europei. Investimenti mirati sull’innovazione tecnologica digitale potrebbero ridurre i tempi d’intervento sulla rete di trasporto, dotandola ad esempio di sensori in grado di trasformare la rete idrica in un impianto intelligente, capace di segnalare guasti e perdite. Questo aiuterebbe ad evitare gli sprechi e consentirebbe una manutenzione preventiva, come in altri settori a rete sta avvenendo, migliorando efficienza e margini”.

Paolo Pirani conta sul ruolo congiunto di sindacati ed imprese: “La politica può ancora molto, ma per quanto ci riguarda riteniamo giusto riflettere su quanto possiamo fare noi, imprese e sindacato. La quarta rivoluzione industriale, ci impone un governo del cambiamento condiviso e gestito insieme”.

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