Per capire cosa sta avvenendo nella grande Germania, bisogna partire da un lontano scritto di Malcom X, il rivoluzionario afro americano che, negli anni ‘70 fu l’animatore dei black panthers. E che, negli Usa, guidò la rivolta violenta dei neri contro l’establishment bianco. Il concetto ch’era solito ripetere, nei suoi numerosi discorsi, prima di morire assassinato dal fuoco amico – una setta concorrente – riecheggiava suggestioni più antiche.
“No – sosteneva – io non sono americano. Sono uno dei ventidue milioni di uomini dalla pelle nera che sono vittime dell’americanismo”. Se ad alcune di quelle parole si sostituiscono i concetti di “classe operaia” e di “imperialismo” si possono cogliere le assonanze con correnti politiche che, negli anni precedenti, avevano avuto una diffusione universale.
In Germania le prime vittime della supremazia tedesca (The struggle for supremacy di Brendan Simms) sono state i ceti meno abbienti: lavoratori non qualificati, giovani, donne appartenenti alle classi meno agiate. A testimoniarlo vi sono i milioni di poveri, i mini jobs (400 euro al mese ed un po’ di assistenza), pensionati che non riescono ad arrivare alla fine del mese. La Germania, in altre parole, non è un paese per poveri.
Ordinaria amministrazione: si potrebbe dire. Altrove – dalla Francia alla Spagna, passando dall’Italia – la situazione è più o meno la stessa. La vera differenza sta nel fatto che solo la Germania presenta un attivo della bilancia dei pagamenti che supera il 9 per cento del Pil.
Si tratta di un enorme eccesso di risparmio che le élite finanziarie ed industriali utilizzano non per realizzare realmente quell’economia sociale di mercato, da sempre enfatizzata nei programmi elettorali dei popolari e dei socialdemocratici. Ma in pratiche di tipo neo-imperialiste (Hilferding e Lenin) volte ad accrescere la potenza della macchina produttiva tedesca.
Il paradosso è che buona parte di queste risorse, oltre ad essere utilizzate in spericolate operazioni finanziarie (i derivati di Deutsche Bank), sono state spese in operazioni di delocalizzazioni industriali, specie negli Paesi appartenenti all’ex blocco sovietico. È lì che si producono molti bei beni intermedi, poi assemblati a Monaco o Francoforte. Operazioni più che legittime dal punto di vista economico, ma che si traducono in una concorrenza sleale nei confronti della produzione autoctona. Che riduce il potere contrattuale degli stessi lavoratori tedeschi.
A causa di queste contraddizioni, è stata l’Spd a pagare il prezzo più salato. Con i sindacati, dopo le riforme volute da Peter Hartz, che sono stati posti in condizioni di inferiorità. Ed i sindacati rapprendevano il cuore stesso di quel partito. Che non ha saputo contrapporsi alla cultura dominante dei popolari, con il supporto attivo della Bundesbank, e la sua politica di rigore a senso unico.
Si spiega allora la vittoria dei “Verdi”, sia in Baviera che nell’Assia. Una formazione politica, quest’ultima, che ha saputo intercettare la disaffezione degli elettori rispetto alle tradizionali forze politiche di riferimento. E cambiare pelle. In passato, i Verdi dovevano il loro successo specialmente ai giovani, catturati soprattutto dai temi del rispetto dell’ambiente e dell’ecologia. Ma già allora capaci, anche, di una visione politica più ampia, che nulla aveva a che vedere con l’integralismo che si riscontra in movimenti analoghi sparsi nel mondo. Ma sopratutto in Italia.
Uno dei suoi esponenti più di spicco – Joschka Fischer – parlamentare di lungo corso e ministro degli Esteri del governo Schröder vedeva nell’Unione europea la difesa naturale per proteggere il Vecchio Continente dalla marea montante della globalizzazione. La stessa Germania, nonostante la sua forza economica, non avrebbe retto all’urto delle grandi aree monetarie ad oriente (Cina e Giappone) e in occidente (Usa) in grado di dominare il mondo. Ma per realizzare un simile obiettivo non poteva esserci un’Europa a trazione tedesca. Ci voleva un’Europa federale, in cui oneri ed onori rispondessero ad un disegno organico, non segnato da cattivi egemonismi.
C’è voluto il tempo necessario affinché i Verdi, fino a ieri soprattutto movimento d’élite, assumessero la configurazione di una forza politica di massa, collocata al centro dello schieramento politico tedesco, e capace di dare sostanza ad una diversa visione dell’Europa. Partecipi di un sommovimento che, seppure con caratteristiche diverse (addirittura opposte), si sta verificando anche in altre realtà europee. Come andrà a finire, non è dato sapere. Ma certo è che un vecchio mondo sta tramontando. Anche se quello nuovo non si è ancora compiutamente manifestato.