Skip to main content

Lo spread prepara il conto. E non saranno spiccioli. Report Goldman Sachs

Un po’ come il proprietario di casa che si presentava, prima dell’avvento dei bonifici il primo del mese, a riscuotere l’affitto, i mercati stanno preparando il conto per l’Italia. All’indomani della bocciatura della manovra da parte dell’Europa (qui l’approfondimento di ieri) è tempo di rimettere ordine tra le emergenze dell’Italia. Perché se quello con l’Europa è un problema politico e tale per il momento rimane, il vero allarme  è lo spread a 337 punti base, che ci costringe a pagare di più per assicurarci una domanda di debito soddisfacente. Il che a sua volta innesca una specie di spirale infernale: il debito aumenta per finanziare i maggiori rendimenti necessari a trovare investitori che però a loro volta non se la sentono di puntare le loro fiches su un Paese con un debito prossimo all’esplosione. E la fuga è garantita.

Anche secondo gli economisti di Goldman Sachs, che oggi hanno cominciato a farsi due conti sulla crisi italiana, politica o finanziaria che sia. Molto probabilmente tra qualche giorno arriverà un downgrade da parte delle agenzie (S&P e Moody’s, per Fitch bisognerà aspettare marzo). In questo modo secondo Goldman Sachs lo spread dovrebbe restare stabile fra 250-300 punti base, certo molto lontano da quota 120 di inizio maggio, prima dell’insediamento del nuovo governo. Ma se invece ci fosse un outlook negativo, lo spread di porterebbe fra 300 e 350: se il differenziale andasse oltre quota 350, il mercato inizierebbe scontare scenari più cupi (junk, spazzatura), e sarebbero dolori. Senza considerare che secondo alcuni calcoli effettuati oggi dal Centro Studi di Confindustria, per quest’anno si prevede un esborso extra di interessi di 1,9 miliardi, quasi 5 nel 2019.

Ora, a fronte di questo scenario, c’è da chiedersi quanti sono i titoli di Stato italiani presenti nei fondi mondiali che acquistano il nostro debito? Il calcolo è senza dubbio complesso, ma qualche analista ha cominciato a farlo. Reuters, per esempio, scrive che il solo indice Russell Ftse World Government Bond ha in pancia 800 miliardi di dollari di obbligazioni, di cui 60 miliardi di Btp (52 miliardi di euro). Se il rating italiano finisse per esempio sotto il livello di investment grade (due tagli da oggi), l’indice, per regolamento interno, venderebbe in automatico. A questi 52 miliardi ne vanno aggiunti altri 40-50. Gli economisti di Goldman stimano infatti in 2.500 miliardi di dollari il monte titoli detenuto dai fondi esteri. Il che equivale un’esposizione sul debito sovrano dell’Italia per altri 40-50 miliardi di dollari (40 miliardi di euro). Di conseguenza, la banca d’affari americana stima che l’Italia rischia una vendita massiccia da parte dei fondi, di almeno 100 miliardi di euro, in caso di doppio downgrade.

C’è anche un’altra considerazione da fare. Con le prossime aste il Tesoro di prepara a piazzare tra i 35 e i 40 miliardi di Btp ma i tradizionali compratori, le banche, sembra che stiano invece portando avanti una politica di cessione dei titoli pubblici detenuti in pancia. E allora chi comprerà allora i titoli di Stato, visto che gli storici acquirenti di ultima istanza, le banche italiane, hanno già cominciato a vendere Btp perché stanno zavorrando i bilanci? L’unica certezza è che occorre trovare uno stratagemma per abbassare lo spread, prima che la fuga dei fondi abbia inizio. Secondo Barclays l’Europa potrebbe aprire la procedura entro novembre anziché nella prossima primavera perché considera l’attuale stagione di bilancio l’ultima finestra utile per l’azione prima delle elezioni del Parlamento europeo di maggio 2019.



×

Iscriviti alla newsletter