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Il governo, gli americani e il drago (cinese). Istruzioni per l’uso

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Scena numero uno, parla mercoledì al forum dell’Ansa l’ambasciatore americano Lewis Eisenberg: “Al di là di come ognuno di noi la pensi, le ultime elezioni in Italia hanno dimostrato che il popolo ha parlato. Questa è la democrazia”. Scena numero due, parla Jean Claude Juncker lunedì sera a Bruxelles, dopo il vertice dell’Eurogruppo: “Se l’Italia vuole un trattamento particolare supplementare, questo vorrebbe dire la fine dell’euro. Bisogna essere molto rigidi”.

In queste parole (pesate, ragionate, volute), c’è la perfetta rappresentazione della collocazione internazionale dell’Italia, vicina come non mai a Washington ed al suo Presidente, lontana come non mai da Bruxelles e dai sui dirigenti, a cominciare dal lussemburghese Juncker. È una condizione non solo assai atipica per l’Italia, ma anche tutt’altro che neutra rispetto alle prossime importantissime date, quasi tutte concentrate nei prossimi due mesi.

Sul fronte europeo (e saranno dolori) ci sono due momenti fondamentali: il primo di carattere elettorale, cioè le elezioni in Baviera del 14 ottobre, il secondo di carattere politico-economico, cioè l’esame della manovra finanziaria italiana (insieme a quelle degli altri Paesi). I risultati bavaresi potrebbe vedere l’avanzata di scenari poco favorevoli alla Merkel, con conseguente avanzata di populisti-sovranisti: un dato certamente utile per il duo Salvini-Di Maio.

Il confronto sui numeri invece vede l’Italia in posizione molto difficile, anche perché sarà il tavolo perfetto per farci pagare la conversione a “U” fatta in materia d’immigrazione. Sul fronte americano ci sono certamente le elezioni “mid term”, primo banco di prova per la presidenza Trump, ma c’è sopratutto questa vicinanza tra le due amministrazioni, elemento che può giocare un ruolo al momento del giudizio delle più accreditate agenzie di rating sulla nostra manovra economica. Moody’s in particolare ha spostato a fine ottobre la sua pagella, proprio per tenere conto dei dati ufficiali della legge di bilancio Italiana.

In buona sostanza il governo Conte ha ben pochi amici a Bruxelles (dove però Macron ci è più ostile della Merkel) e un grande amico a Washington (che potrebbe tornare molto utile). Gli americani però vedono con preoccupazione due atteggiamenti molto in voga dalle parti del governo giallo-verde.

Il primo riguarda alcune grandi partite economiche e infrastrutturali come Tap (dove si comincia a notare con una certa irritazione la tendenza italiana al rinvio sine die della conclusione dei lavori) e come il rallentamento sul programma di acquisto degli F-35, dove il ministro Trenta deve fare i conti con le parole durissime del suo leader politico Di Maio, che oggi alla Camera ha detto testualmente: “È una manovra del popolo anche per i tagli che fa alla spesa militare inutile”.

Il secondo attiene alla spiccata simpatia ( più gialla che verde) che nel governo furoreggia verso tutto ciò che è cinese, come dimostrato dalla presenza di Di Maio ad un recente evento della grande compagnia telefonica Huawei (poco dopo aver concluso un viaggio a Pechino). Su questo aspetto a Washington è allarme rosso, basti prendere nota delle dichiarazioni pubbliche del Presidente a corredo dell’imponente politica di dazi e dei fortissimi rumors dell’intelligence sull’imponente sforzo d’influenza militare, tecnologica e geopolitica che il governo cinese sta attuando senza più nemmeno cercare di farne mistero.

In proposito, va rilevato (con senso della misura ma senza attenuanti) che anche le strutture italiane d’intelligence hanno ormai sviluppato convincimenti identici a quelli americani.

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